Migliaia di persone per le strade di Yangon continuano a chiedere la liberazione della leader democratica Aung San Suu Kyi, agli arresti domiciliari in Myanmar dopo il golpe del 1° febbraio scorso. Sabato 20 è stata la giornata più sanguinosa dall’inizio delle proteste, con due persone uccise dalla polizia a Mandalay, seconda città del Paese. Tutti i vertici del partito guidato dal premio Nobel per la Pace, la Lega nazionale per la democrazia, sono in arresto e alla guida del Paese ci sono il capo delle forze armate Min Aung Hlaing e il presidente ad interim Myint Swe.
Lo sciopero nazionale – Lunedì 22 febbraio, nonostante gli avvertimenti della giunta militare, migliaia di persone sono scese per le strade di Yangon e delle altre città del Paese: i manifestanti hanno convocato uno sciopero generale nazionale, cui si riferiscono con il nome “22222” (per la data, 22/02/2021). Le autorità temono che sia la dimostrazione più partecipata dall’inizio del colpo di Stato.
Major arterial roads in commercial hub #Yangon #Myanmar impassable to traffic as anti-#military protesters stage sit-in to continue opposing #coup. Great video by @_naungkham. This a major road leading to protest sites like Hledan, downtown & to airport #WhatsHappeningInMyanmar pic.twitter.com/V9RdNcmZZ6
— May Wong (@MayWongCNA) February 17, 2021
Le vittime delle proteste – Sabato 20 febbraio a Mandalay, lo scontro fra manifestanti e polizia è durato per quasi tutta la giornata. Le forze dell’ordine hanno provato ad interrompere lo sciopero dei lavoratori portuali, tentando di farne salire alcuni su una nave che doveva salpare fino alla città di Bhamo. Per disperdere la folla di un migliaio di persone barricata nel cantiere navale, la polizia ha usato fionde, idranti e proiettili di gomma prima di aperire il fuoco, uccidendo un uomo e un ragazzo minorenne, Wai Yan Tun. Altre 40 persone sono state ferite. Le due vittime uccise durante proteste di Mandalay si aggiungono a Mya Thwate Thwate Kaing, la manifestante ventenne colpita alla testa da un proiettile a Naypyidaw lo scorso 9 febbraio. Dopo dieci giorni in coma, è morta venerdì: è la prima dissidente ad aver perso la vita durante le proteste.
La reazione internazionale – La situazione in Myanmar sarà discussa oggi dai ministri degli Esteri dei Paesi Ue riuniti a Bruxelles, come ha annunciato sabato l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri, Josep Borrell. Heiko Maas, il ministro degli Esteri della Germania, riguardo alla situazione birmana ha affermato: «Non resteremo a guardare. Useremo i canali diplomatici, ma ci riserviamo il diritto di sanzionare il regime militare come ultima risorsa». Anche Luigi Di Maio ha espresso preoccupazione per le violenze di sabato.
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“It is deeply worrying how protesters are being dealt with in #Myanmar. We will not just stand by. We will use diplomatic channels for de-escalation but we reserve the right to sanction the military regime as a last resort.“ @HeikoMaas at the EU #FAC in Brussels pic.twitter.com/SBdxxN77D0— GermanForeignOffice (@GermanyDiplo) February 22, 2021
Le sanzioni – Provvedimenti mirati sono arrivati la settimana scorsa da Canada e Regno Unito. Il 18 febbraio, il governo di Ottawa ha annunciato misure contro nove membri delle forze armate birmane, congelandone i beni. Un’azione simile è stata presa da Boris Johnson contro tre generali. Le decisioni dei due Paesi seguono quella degli Stati Uniti, annunciata dal presidente Joe Biden il 10 febbraio. Anche la Casa Bianca ha applicato disposizioni contro i vertici dell’esercito e i loro familiari, oltre al congelamento di fondi da oltre un miliardo di dollari che il governo birmano detiene negli Usa. «Il popolo sta facendo sentire la propria voce – ha affermato Biden – il mondo intero sta guardando».