Lunedì 10 maggio la Spianata delle Moschee di Gerusalemme è stata di nuovo teatro di violenza. Secondo la Mezzaluna Rossa sono circa 280 i manifestanti palestinesi feriti (di cui 4 gravi) dopo gli scontri con la polizia israeliana. La tensione, salita nelle settimane precedenti, è esplosa in occasione dell’anniversario della conquista della Città vecchia di Gerusalemme da parte di Israele, avvenuta nel 1967 dopo la Guerra dei sei giorni. In questa data israeliani e gruppi ultraortodossi marciano nella città passando anche per la Spianata delle Moschee, considerata sacra anche dagli ebrei perché lì sorgeva il Tempio antico. Quest’anno il luogo era stato vietato per paura che si ripetessero le violenze di venerdì 7 maggio scoppiate in occasione della fine del Ramadan. Nonostante ciò, circa 8 mila palestinesi si sono radunati fuori e dentro alla moschea di al-Aqsa dalla notte di domenica 9 maggio e, dalla mattina del 10 i poliziotti lanciano granate stordenti e sparano proiettili di gomma, mentre i palestinesi rispondono con lancio di pietre e altri oggetti. Di solito le autorità palestinesi e dei Paesi arabi vicini cercano di dissuadere i pellegrinaggi sulla spianata per evitare i tafferugli. Quest’anno, però, non è andata così e le motivazioni sono diverse.

Il crescendo delle tensioni a Gerusalemme Est –  All’inizio del mese sacro musulmano del Ramadan, erano già scoppiati scontri vicino alla Porta di Damasco, fuori dalla Città vecchia, in risposta alle restrizioni imposte da Israele. I residenti palestinesi si erano affrontati con la polizia e con attivisti sionisti di estrema destra. Israele in seguito aveva rimosso le restrizioni. Tuttavia gli scontri erano ripresi rapidamente a causa delle tensioni sul piano di sfratto a Sheikh Jarrah, quartiere di Gerusalemme est popolato da molti palestinesi. La disputa su Sheikh Jarrah va avanti da 15 anni, ma solo negli ultimi giorni una campagna palestinese sul destino del quartiere ha preso piede a seguito dello sfratto di almeno 3 famiglie su cui il 10 maggio si esprimerà la Corte Suprema guidata dalla giudice Dafna Barak-Erez.
Pomo della discordia sono diversi appezzamenti di terreno situati vicino all’antica tomba di Simeone il Giusto. I coloni affermano che le terre, acquistate dalle comunità ashkenazite e sefardite nel XIX secolo, fossero state abbandonate a seguito dello scoppio della guerra di indipendenza del 1948, quando le famiglie ebree furono costrette a fuggire. Le famiglie palestinesi che vivevano lì apparentemente arrivarono nel quartiere all’inizio degli anni ’50, mentre Gerusalemme est era sotto il controllo giordano. Secondo i coloni israeliani, però, il governo giordano non ha reso i palestinesi proprietari legali delle terre e delle loro case. I coloni israeliani hanno acquistato negli ultimi anni i diritti su questi appezzamenti dai discendenti delle comunità ashkenazita e sefardita, appoggiati da un’organizzazione chiamata Simeon Estate che sostiene la battaglia legale per le terre. In due casi, l’anno scorso, i giudici hanno appoggiato le rivendicazioni ebraiche di proprietà: alcune famiglie palestinesi potrebbero essere sfrattate già la prossima settimana, mentre altre potrebbero perdere la casa in estate. Israele ha dovuto affrontare crescenti critiche internazionali sulla pesante risposta della polizia alle proteste e sugli sfratti pianificati. La scorsa settimana un organismo per i diritti delle Nazioni Unite ha descritto l’espulsione degli arabi dalle loro case come un possibile crimine di guerra.

C’è il rischio di un’altra Intifada? – La battaglia per Sheikh Jarrah ha generato reazioni sia da Fatah che da Hamas, i principali gruppi palestinesi. Il 4 maggio il presidente dell’Autorità nazionale palestinere, Mahmoud Abbas, ha detto che chiederà alla Corte penale internazionale di includere il caso del quartiere nelle sue indagini sui presunti crimini di guerra israeliani. Inoltre, in una rara dichiarazione, Mohammed Deif, il capo dell’ala armata di Hamas, le Brigate Izz ad-Din al-Qassam, ha avvertito che Israele avrebbe pagato un prezzo alto se gli sgomberi fossero andati avanti. Le autorità israeliane finora hanno taciuto sulla minacce di Abbas e Deif. Ma l’aumento della tensione è dovuta anche agli appuntamenti elettorali previsti sia per gli israeliani che per i palestinesi. Abbas ha recentemente deciso di sospendere le elezioni, accusando Israele di aver bloccato il voto a Gerusalemme est. Ciò a sua volta ha aumentato le tensioni in Cisgiordania e a Gaza, come manifestato nel recente lancio di razzi dalla Striscia verso le comunità meridionali israeliane. Anche Israele è alle prese con la coatituzione del nuovo governo. Per evitare di tornare al voto, Naftali Bennett – leader del partito nazionalista “Yamina’” – e il “centrista” Yesh Atid potrebbero trovare un accordo con il primo come premier, escludendo di fatto Benjamin Netanyahu. Bennett è un sostenitore della causa dei coloni e, se dovesse andare al governo, quello che stiamo vedendo oggi si potrebbe ripetere.