
Pedro Sánchez insieme ai vertici del Psoe durante una riunione del partito (Fonte: EPA/Kiko Huesca)
Solo cinque seggi separano Pedro Sánchez da un nuovo mandato come presidente del governo spagnolo, dato ormai per scontato dopo l’accordo firmato giovedì 9 novembre a Bruxelles tra il suo Partito socialista (Psoe) e gli indipendentisti catalani. In cambio della fiducia, al partito Junts per Catalunya (Insieme per la Catalogna) è stata promessa una legge di amnistia per i leader indipendentisti che nel 2017 avevano tentato la secessione e che da allora sono perseguiti dalla giustizia spagnola. Tra questi c’è lo stesso leader di Junts, Carles Puidgemont, che per evitare il processo è da allora rifugiato a Bruxelles. Il voto parlamentare per l’investitura di Pedro Sánchez potrebbe essere programmato già all’inizio della prossima settimana: per assicurare la fiducia a un nuovo esecutivo di centrosinistra mancano solo i cinque voti dei nazionalisti baschi, ma le trattative sono già in fase avanzata e non stanno incontrando particolari difficoltà.
I negoziati – Le elezioni politiche del 23 luglio avevano restituito un Parlamento frammentato, in cui né il blocco delle destre né la coalizione di sinistra potevano raggiungere da soli la maggioranza. Ago della bilancia sono diventati quindi i partiti regionalisti e indipendentisti, avversati dall’estrema destra di Vox e disponibili al dialogo con il centrosinistra. Tuttavia, in prima battuta il re Felipe VI ha dato l’incarico di formare il governo al leader del Partito popolare (Pp) Alberto Núñez Feijóo, arrivato primo alle elezioni. Potendo contare solo sul sostegno di Vox, Feijóo non ha ottenuto la fiducia del Parlamento e il 3 ottobre il re ha quindi incaricato Sánchez. I negoziati del Partito socialista hanno coinvolto da subito la lista di sinistra Sumar, guidata dalla vicepresidente uscente Yolanda Díaz: le due forze politiche hanno raggiunto un accordo di governo che prevede un ampio programma di riforme, dalla riduzione della settimana lavorativa alla gratuità del trasporto pubblico. Il passo successivo è stato l’accordo con Esquerra Republicana de Catalunya, partito indipendentista catalano che nella scorsa legislatura aveva già stretto accordi con le sinistre. Per assicurare una maggioranza in Parlamento è stato però necessario scendere a patti anche con Junts per Catalunya, che chiedeva un’amnistia per tutti gli indipendentisti coinvolti nel tentativo di secessione del 2017. Con l’intesa raggiunta il 9 novembre, anche questo ostacolo è stato superato e la prossima settimana Sánchez potrebbe già ricevere dal Parlamento la terza fiducia della sua carriera politica.

I manifestanti di estrema destra affrontano la polizia davanti alla sede del Psoe (Fonte: EPA/Daniel Gonzalez)
Le proteste – Da quando hanno iniziato a circolare le voci di un’intesa imminente tra socialisti e Junts per Catalunya sulla legge di amnistia, in Spagna sono scoppiate le proteste dell’estrema destra. L’episodio più violento si è verificato martedì sera, quando 7 mila manifestanti si sono riuniti davanti alla sede del Psoe a Madrid e hanno urlato cori contro Sánchez, Puidgemont e le forze di polizia, fino ad arrivare allo scontro diretto con gli agenti. Quella stessa mattina il leader di Vox Santiago Abascal aveva invitato gli agenti a non obbedire agli «ordini illegali» del governo. Neppure da Feijóo è arrivata una condanna immediata alle violenze: il leader del Pp ha da subito attribuito a Sánchez le responsabilità del malessere della popolazione, precisando solo l’indomani che «la violenza non ha spazio nella democrazia». Le proteste sono emerse anche da alcuni giudici di stampo conservatore, che hanno condannato la legge di amnistia ancor prima della sua presentazione in Parlamento. Anche la Commissione europea ha espresso perplessità sulla legge, chiedendo spiegazioni al governo spagnolo. L’esecutivo ha risposto spiegando che la proposta di legge non è ancora stata depositata dai gruppi parlamentari, ma che sarà cura del governo informare la Commissione su tutti i dettagli quando questo avverrà.