Due mondi a confronto, due modi di scrivere e due supporti su cui lavorare. Ma con un unico obiettivo: il giornalismo di qualità. Di questo si è parlato all’evento “La filiera e il ruolo della carta stampata nell’era del web. Mercato, riforme, deontologia” di mercoledì 11 novembre. Organizzato su iniziativa dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia nell’aula magna dell’Università degli Studi di Milano, il convegno ha visto riuniti per la prima volta intorno a un tavolo di discussione tutti i protagonisti della catena di “produzione dell’informazione”.
Il dibattito, moderato da Venanzio Postiglione, vice direttore del Corriere della Sera e direttore del Master in giornalismo “Walter Tobagi” della Statale, è iniziato con l’intervento di Gabriele Dossena, presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia: «Oggi c’è un problema di rappresentatività della categoria: non ha senso che il nostro Consiglio nazionale sia composto da 144 persone, di cui molti pubblicisti. Credo che sia necessaria una riforma dell’Ordine, che preveda il dimezzamento dei rappresentanti nel Consiglio nazionale con una proporzione di 2/3 professionisti e 1/3 pubblicisti. E che si debba guardare al modello francese creando così tre o quattro macro-regioni in una sorta di Federazione degli Ordini regionali». E ha aggiunto: «Il nostro lavoro di giornalisti deve rimanere immutato, sia che si tratti della carta sia che avvenga sul web: la nostra professionalità è unica, così come la deontologia».
Gli ha dato ragione la ricerca “L’editoria cambia, il giornalismo resta” condotta e presentata dal professor Sergio Splendore, ricercatore del Dipartimento di Studi sociali e Politici dell’Università degli Studi di Milano. Lo studio ha dimostrato che nonostante le pressioni politiche ed economiche, nonostante l’accondiscendenza, il giornalismo italiano percepisce l’importanza dei codici deontologici. Non conta, insomma, su quale supporto si lavori: da noi i compiti del giornalismo rimangono verifica, imparzialità, verità e informazione.
Anche la pubblicità è stata uno spunto di riflessione sulla convivenza tra carta e web: Alberto Dal Sasso, presidente di Nielsen Italia, ha analizzato i dati sugli investimenti pubblicitari negli ultimi 40 anni. Il risultato? Se nel 1972 i ricavi pubblicitari legati alla carta stampata erano pari al 65 per cento dell’intero introito, con l’avvento della TV prima e del digitale poi gli investimenti si sono sempre più allontanati dalla carta, spostandosi soprattutto sul web. Tanto che nel 2014 si è registrata una diminuzione degli investimenti nella carta stampata pari al 15,5 per cento.
I dati si sono ripercossi anche sulle cartiere: Paolo Mattei, amministratore delegato di Burgo Group, ha mostrato come il mercato di produzione della cellulosa sia in continua contrazione. Dai dieci milioni di tonnellate di carta prodotta nel 2007 si è passati agli 8,5 milioni di oggi. Sulla base di questi numeri Armando Abbiati, presidente del sindacato nazionale autonomo giornalai, ha così criticato le scelte che hanno penalizzato le edicole: editori più vicini al web, free press, consegna dei giornali a domicilio e distributori sono stati i suoi principali imputati.
Hanno risposto alle critiche di Abbiati Stefano Micheli, direttore Network Diffusione Media, e Fabrizio Carotti, direttore generale della Federazione italiana editori giornali (Fieg): per entrambi sembra ancora lontano un accordo condiviso sulle nuove regole di settore. Ma Carotti ha lanciato un messaggio di speranza: «Sono quasi 46 milioni i lettori di giornali, su carta o su web. Questi numeri non fanno pensare a un’estinzione del bisogno d’informazione, quanto a un’evoluzione dell’editoria».
Posizione condivisa da Peter Gomez, direttore de ilfattoqutidiano.it, che propone: «La collaborazione tra carta e web deve avvenire direttamente nelle redazioni, dove i giornalisti devono scrivere sia per l’uno sia per l’altro supporto. Con una differenza: se il web sarà più per le notizie “liquide”, i giornali cartacei dovranno avere meno pagine e più dedicate all’approfondimento e alle opinioni».
Clara Amodeo