«Se fossi io il premier non andrei a parlare con Zelensky». Silvio Berlusconi rompe il silenzio elettorale, ma le sue parole sono destinate a far rumore per ben altri motivi. L’affondo del Cavaliere è sulla politica estera e mette in difficoltà ancora una volta il governo Meloni. Critica la reazione di Kiev: «Berlusconi bacia le mani insanguinate del capo del Cremlino». Palazzo Chigi si affretta a puntualizzare che «il sostegno del governo all’Ucraina è saldo e convinto», mentre l’altro vertice di Forza Italia, nonché ministro degli Esteri, Antonio Tajani, in una nota ribadisce che «il sostegno del presidente Berlusconi in favore dell’Ucraina non è mai stato in dubbio». Chiarimenti affrettati che nascondono preoccupazioni diffuse all’interno del governo.

Silvio Berlusconi all’uscita del seggio di via Ruffini, a Milano (Ansa)

Le dichiarazioni – A urne ancora aperte, davanti al seggio di via Ruffini in pieno centro a Milano, Silvio Berlusconi parla senza freni. Accompagnato dalle onnipresenti Marta Fascina e Licia Ronzulli, l’ex presidente del Consiglio si è intrattenuto con i cronisti. Ha parlato dell’alto astensionismo alle regionali ma anche della querelle Rai dopo Sanremo: gli sguardi dei suoi fedelissimi alle spalle sono diventati via via sempre più preoccupati quando Berlusconi ha iniziato a rispondere alle domande sulla guerra in Ucraina. In particolare, quando ha attaccato il presidente ucraino Zelensky: «Giudico molto, molto, molto negativamente questo signore, perché stiamo assistendo alla devastazione del suo Paese e alla strage dei suoi soldati e dei suoi civili. Sarebbe bastato che non attaccasse le due Repubbliche autonome del Donbass e questo non sarebbe accaduto». Nonostante anche il suo partito abbia sempre votato a favore dell’invio di armi a Kiev, il Cavaliere sembra smentire anche la strategia del governo per arrivare alla pace. «Il signore presidente americano Biden dovrebbe prendersi Zelensky e dirgli: è a tua disposizione un piano Marshall da sei, sette, otto, nove mila miliardi di dollari per ricostruire l’Ucraina. A una condizione: che tu domani ordini il cessate il fuoco, anche perché noi da domani non vi daremo più dollari e non ti daremo più armi. Solo questo potrebbe convincere Zelensky a cessare il fuoco». Non una menzione su Vladimir Putin.

Le reazioni – Dura la reazione del governo di Kiev che, tramite il consigliere di Zelensky Mykhailo Pololyak, sentito da Repubblica, attacca l’ex premier: «Getti la maschera e dica pubblicamente di essere a favore del genocidio del popolo ucraino». Dopo qualche minuto dalle dichiarazioni, il vicepresidente di Forza Italia e vicepremier Antonio Tajani prova a smorzare i toni con un tweet: «Forza Italia è da sempre schierata a favore dell’indipendenza dell’Ucraina, dalla parte dell’Europa, della Nato e dell’Occidente. In tutte le sedi continueremo a votare con i nostri alleati di governo rispettando il nostro programma». È un copione che già si è visto: prima le sparate, poi la corsa alle smentite. Così fa Palazzo Chigi che, in una nota, ribadisce il sostegno alla causa ucraina, «come conferma il programma e tutti i voti parlamentari della maggioranza». Forza Italia prova a minimizzare, sostenendo come Berlusconi abbia solo «espresso la sua preoccupazione per evitare la prosecuzione di un massacro e una conseguente grave escalation della guerra».

Le difficoltà del governo – Non basta costruire l’ennesimo cordone sanitario attorno al leader per nascondere l’imbarazzo del governo. Le uscite di Berlusconi sono ancor più gravi perché avvengono in un momento di tensione con le altre cancellerie europee per il trattamento riservato all’Italia durante la visita del presidente ucraino in Europa. Al Consiglio europeo del nove febbraio scorso Giorgia Meloni è parsa particolarmente irritata per il mancato invito all’Eliseo dove Macron e Scholz hanno ricevuto Zelensky, mentre per la presidente del Consiglio solo un breve colloquio a Bruxelles. Le parole del presidente di Forza Italia non fanno altro che rafforzare la linea di chi tiene l’Italia fuori dai tavoli che contano.

Silvio Berlusconi e Vladimir Putin in Crimea, settembre 2015 (Wikimedia Commons)

I precedenti – Non è la prima volta che le uscite di Berlusconi mettono in difficoltà Meloni, proprio sul tema su cui più di altri, fin dall’inizio del conflitto, la presidente del Consiglio ha investito per acquisire credibilità di fronte agli alleati internazionali. Per amicizia personale con il presidente Putin, per calcolo elettorale (attrarre il voto degli elettori stanchi dalla guerra e non affascinati dalla figura di Zelensky) o per sincere convinzioni politiche, l’adesione alla narrazione filorussa a margine del voto regionale è solo l’ultima di una lunga serie di esternazioni dell’ex premier a favore della Russia. Nel settembre del 2015 Berlusconi è stato il primo leader occidentale a recarsi nella Crimea annessa dai russi. A maggio 2022, poi, a margine di un evento elettorale a Napoli, sosteneva che bisognasse convincere Kiev ad «ascoltare Mosca», mentre durante la puntata di Porta a Porta del 22 settembre scorso ha affermato che «l’obiettivo di Putin era sostituire Zelensky con un governo di persone perbene». Le uscite filoputiniane del Cavaliere hanno rischiato di compromettere sul nascere la formazione del governo di centrodestra, quando durante un incontro con i propri gruppi parlamentari si sentiva il leader di Forza Italia dire di essersi scambiato, con il presidente Putin, «dolci letterine, casse di vodka e lambrusco». Questa è l’ennesima sortita, una grana in più per un governo in difficoltà su molti dossierinterni ma soprattutto internazionali.