Era il xxxx del 2010 quando il cofondatore del Pdl Gianfranco Fini fu espulso dal suo partito

“Che fai, mi cacci?”. Così Gianfranco Fini, cofondatore del Pdl, disse a Silvio Berlusconi il 29 luglio 2010, giorno della sua espulsione

L’ultima resa dei conti all’interno del Movimento 5 Stelle, che ha portato all’espulsione via web di 4 senatori formalmente ratificata dagli iscritti al blog di Grillo, è solo il più recente degli episodi di epurazione politica nel nostro Paese. L’Italia repubblicana ha però conosciuto nel corso della sua storia diversi avvenimenti simili. Abbiamo selezionato quelli che secondo noi sono i cinque casi più celebri: donne e uomini, da sinistra a destra, passando per la Democrazia cristiana e finendo col Movimento 5 Stelle.

  1. Pier Paolo Pasolini, espulso dal P.C.I. il 26 ottobre 1949. La vicenda della denuncia e del conseguente processo per pedofilia portò i dirigenti del Partito Comunista di Pordenone a espelle il giovane maestro di Casarsa per “indegnità morale”. Il quotidiano del partito, L’Unità, scrisse tre giorni dopo: “Prendiamo spunto dai fatti che hanno determinato un grave provvedimento disciplinare a carico del poeta Pasolini per denunciare ancora una volta le deleterie influenze di certe correnti ideologiche e filosofiche dei vari Gide, Sartre e di altrettanto decantati poeti e letterati, che si vogliono atteggiare a progressisti, ma che in realtà raccolgono i più deleteri aspetti della degenerazione borghese”.
  2. Mauro Melloni e Ugo Bartesaghi, espulsi dalla Dc il 23 dicembre 1954. Alla Camera si discute sull’adesione dell’Italia all’Unione europea occidentale (UEO). Un’alleanza politico-militare che avrebbe consentito il riarmo della Repubblica federale tedesca. Fermamente contrari, i due deputati della Dc Mauro Melloni e Ugo Bartesaghi presentano un emendamento che propone di procrastinare l’entrata in vigore degli accordi di tre mesi, nel nome «dell’urgenza politica di sperimentare fino all’ultima ora, fino all’ultimo minuto, tutte le possibilità di trattare che la situazione, prima di divenire gravissima o addirittura irreparabile, ancora avaramente ci consente». La proposta dei due deputati venne respinta ed entrambi votarono contro la ratifica dell’adesione alla UEO. Qualche ora dopo la conclusione della seduta , la direzione centrale della Dc – presieduta dal neosegretario Amintore Fanfani – deliberò all’unanimità la loro immediata espulsione dal partito.
  3. Rossana Rossanda, espulsa dal P.C.I. nel 1969. La rivoluzione di Praga del 1968 e il crescente malcontento verso la politica dell’Unione Sovietica portarono alla radiazione di Rossana Rossanda, influente dirigente del Pci e brillante giornalista e scrittrice. Nel 1969, dopo il XII Congresso nazionale del Pci (tenuto a Bologna), promosse – insieme a Lucio Magri, Luigi Pintor e Aldo Natoli – la nascita della rivista il Manifesto: il tentativo di rimettere in discussione la cultura politica del Pci, e di “uscire da sinistra” dallo stalinismo, si concluse con l’espulsione.
  4. Gianfranco Fini, espulso dal Pdl il 29 luglio 2010. Il caso recente più celebre e importante. Alla riunione della direzione del partito, viene presentato un documento votato dalla maggioranza dei membri dell’ufficio di presidenza del Popolo della Libertà. Si esprime la sfiducia nei confronti dell’allora presidente della Camera, nonché cofondatore del partito, Gianfranco Fini. Lo scontro politico e personale con Silvio Berlusconi, intensificatosi dal 2009, esplode davanti a partito e telecamere. Fini contesta i problemi su giustizia e legalità che la condotta dell’allora premier Berlusconi comportava e l’appiattimento sulle proposte dell’alleato Lega Nord in molte questioni. Berlusconi, con parole dure e risolute, sancisce l’espulsione del cofondatore: “I comportamenti di Fini sono incompatibili con i valori del Pdl e con i nostri elettori. Viene quindi meno la fiducia anche per il suo ruolo di garante come presidente della Camera”. Il “Che fai, mi cacci?” di Fini a Berlusconi, con l’indice puntato verso il suo ex-alleato, è ormai già storia.
  5. Il Movimento 5 Stelle. Non si può parlare di un solo caso, perché la prassi dell’espulsione è ormai diventata abbastanza frequente. Il movimento, nato formalmente nel 2009, ha sempre rifiutato di essere definito secondo gli schemi classici come “partito” o “soggetto politico”. La partecipazione dal basso, la condivisione delle scelte, l’utilizzo della rete come mezzo di decisione sono secondo i “grillini”, a partire da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, la cifra della loro eccezionalità e a del loro anticonformismo rispetto al sistema politico intero. Eppure, dopo nemmeno 4 anni di vita, le espulsioni iniziano a essere parecchie, sia a livello locale che parlamentare. Sono ormai un ricordo gli epurati emiliani e romagnoli della prima ora: il primo in assoluto fu Valentino Tavolazzi, espulso a mezzo blog il 5 marzo 2012 per la sua eterodossia e la critica nella mancanza di democrazia all’interno del movimento. Pochi mesi dopo, il 12 dicembre, toccò a Giovanni Favia e Federica Salsi. Il primo, consigliere regionale, aveva manifestato in un fuorionda con un giornalista di Piazzapulita dure critiche alla gestione del movimento da parte di Grillo e Casaleggio. La seconda era una consigliera comunale di Bologna, la cui colpa fu quella di partecipare a Ballarò (all’epoca il diktat per i pentastellati era di evitare assoltuamente i talk show televisivi). Dopo le elezioni politiche del 2013, la nutrita pattuglia parlamentare grillina ha già subito diverse defezioni: Adele Gambaro, Marino Mastrangeli, Fabiola Antinori, Paola Da Pin, Vincenza Labriola, Alessandro Furnari, Adriano Zaccagnini e, da ieri, i quattro senatori Lorenzo Battista, Fabrizio Bocchino, Francesco Campanella e Luis Alberto Orellana. Con l’aggiunta di altre possibili dimissioni da parte di parlamentari scontenti, e in qualche caso letteralmente terrorizzati, dalla linea dura del Movimento.

Federico Thoman