L’originale della Costituzione italiana (wikimedia commons/Egiglia)

Due ordinamenti «indipendenti e sovrani», ma abbastanza legati da giustificare una norma costituzionale che ne regoli i rapporti. È questo il quadro delle relazioni tra Stato italiano e Chiesa cattolica delineato dall’articolo 7 della Costituzione. Una disposizione che, nei 73 anni dalla sua approvazione, si è spesso trovata al centro del dibattito pubblico, nel tentativo di trovare un bilanciamento tra la laicità dello Stato e l’influenza del Vaticano nella politica italiana. Fino agli ultimi giorni, quando la segreteria di Stato vaticana, con una nota, ha chiesto al Governo italiano di «rimodulare» il ddl Zan sulla lotta all’omobitransfobia in quanto violerebbe la libertà ecclesiastica di organizzazione e pubblico esercizio del culto (qui la risposta del presidente in Parlamento del Consiglio Draghi). Riaccendendo l’attenzione sui Patti Lateranensi e sulla loro inclusione nella Carta fondamentale.

Distinzione degli ordini – Come tutte le norme della Costituzione, anche l’articolo 7 è nato da un compromesso politico. La scelta di regolare i rapporti tra Stato e Chiesa mediante un trattato (il “principio concordatario”) fu dettata dalla forte presenza democristiana in assemblea costituente. In altri ordinamenti, come quello francese, vige un principio diverso: si ritiene che qualsiasi rilievo costituzionale all’appartenenza a una confessione religiosa lederebbe il principio di unicità del popolo. Una volta stabilito il principio concordatario, però, la discussione sul primo comma fu brevissima. La disposizione stabilisce che «lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani» (principio di distinzione degli ordini): il che vuol dire, secondo la Corte Costituzionale, che c’è un divieto per lo Stato di sindacare la struttura, la dottrina o la disciplina della Chiesa; ma anche che «la religione e gli obblighi morali che ne derivano non possono essere imposti come mezzo al fine dello Stato» (sentenza n. 334 del 1996).

Il “tradimento” di Togliatti – «I loro rapporti (tra Stato e Chiesa, ndr) sono regolati dai Patti Lateranensi»: il secondo comma dell’articolo 7 fu quello su cui si focalizzò principalmente il dibattito dei Costituenti. Da una parte, i democristiani volevano costituzionalizzare i Patti Lateranensi, firmati da Benito Mussolini nel 1929; dall’altra, la sinistra e i laici volevano evitare la menzione specifica dell’accordo, optando per una formula come «i rapporti tra Stato e Chiesa sono regolati in termini concordatari». Al termine di giorni di discussione fu Palmiro Togliatti a sbloccare la situazione, dichiarando che il suo Partito Comunista avrebbe votato per il testo proposto dai democristiani. Un “tradimento” che alcuni tuttora non gli perdonano, in quanto avrebbe reso l’Italia meno laica. Il fatto che i Patti Lateranensi si trovino in Costituzione, però, non vuol dire che essi abbiano valore di legge costituzionale: possono essere sindacati dalla Corte Costituzionale in caso di violazione dei principi supremi dell’ordinamento. In un paio di occasioni, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità di alcune norme sul matrimonio di origine concordataria.

Le modifiche –  Le norme che regolano i rapporti tra Stato e Chiesa possono essere modificate solo con il consenso delle due parti: se invece lo Stato italiano desiderasse cambiarle unilateralmente, occorrerebbe un procedimento con maggioranze rafforzate, come quello per l’approvazione delle leggi costituzionali. L’unica revisione dei Patti, quella di Villa Madama del 1984, quando a Palazzo Chigi sedeva Bettino Craxi, è stata bilaterale: ne derivò, ad esempio, l’eliminazione dell’ora di religione obbligatoria a scuola. È una disposizione, secondo i costituzionalisti, creata per mettere il trattato al riparo da possibili colpi di mano parlamentari. E non è possibile modificare o abolire unilateralmente il Concordato nemmeno tramite referendum: lo ha escluso la Consulta con una sentenza del 1979, viste le garanzie che la Costituzione assegna al trattato.