Partiranno nel pomeriggio del 4 febbraio alla Camera – e dureranno un paio di giorni – le consultazioni del presidente incaricato Mario Draghi con i partiti, alla ricerca di una maggioranza che sostenga il suo governo in Parlamento, per il momento tutt’altro che scontata. Sarà per questo che l’ex presidente della Bce (Banca Centrale Europea) il 3 febbraio ha accettato l’incarico offertogli dal presidente della Repubblica con riserva, concedendosi il tempo di verificare l’appoggio della compagine politica.

L’incarico – Dopo aver accettato il mandato e aver ringraziato Sergio Mattarella per la fiducia accordatagli, Mario Draghi ha spiegato come intendesse procedere: «Con grande rispetto mi rivolgerò innanzitutto al Parlamento, espressione della volontà popolare. Sono fiducioso che dal confronto con i partiti e i gruppi parlamentari, e dal dialogo con le forze sociali, emerga unità, e con essa la capacità di dare una risposta responsabile e positiva all’appello del presidente della Repubblica». Ha poi brevemente illustrato le priorità e le sfide del futuro esecutivo: «Vincere la pandemia, completare la campagna vaccinale, offrire risposte ai problemi dei cittadini, rilanciare il Paese. Abbiamo a disposizione le risorse straordinarie dell’Unione Europea, abbiamo la possibilità di fare molto per il nostro Paese, con uno sguardo attento al futuro delle giovani generazioni e al rafforzamento della coesione sociale». L’idea di Draghi sarebbe quella di un esecutivo composto da tecnici di alto profilo, ma è fortissimo il pressing dei partiti dell’ex maggioranza per un Consiglio dei Ministri tecnico-politico. E la strada per Palazzo Chigi è ancora tutta in salita: è molta l’incertezza su quale maggioranza e quanto allargata appoggerà il governo.

I favorevoli – Draghi sembra avere il sostegno assicurato del Partito Democratico, dei loro alleati di Liberi e Uguali e di Italia Viva, il cui leader, Matteo Renzi, si dice sicuro che «la maggioranza ci sarà» e «felice di vedere una personalità come Draghi pronta a guidare il Paese»: il suo governo sarà «la salvezza dell’Italia», afferma in un’intervista con Repubblica, soprattutto per quanto riguarda la gestione dei fondi europei. L’appoggio arriverà anche dai piccoli partiti del centro. I centristi di Cambiamo! e Unione di Centro si dicono talmente favorevoli da valutare la creazione di un nuovo gruppo parlamentare a sostegno dell’ex presidente della Bce che riunisca parlamentari in uscita sia dall’ex maggioranza che dall’ex opposizione.

Gli indecisi – Le cose si complicano se si guarda alla coalizione di centrodestra, che si professa unita sebbene le diverse sfumature all’interno: «Andiamo alle consultazioni a sentire Mario Draghi quali idee ha e cosa propone. È una personalità di altissimo profilo. Valuteremo insieme come centrodestra cosa fare. Se siamo arrivati fino a qui è perché siamo rimasti uniti», afferma Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia, che vuole rassicurazioni sul programma prima del via libera definitivo, che però sembra essere abbastanza scontato. Non si può dire lo stesso dei suoi alleati, la Lega di Matteo Salvini si dice disposta a un’apertura – sempre successiva alle consultazioni –, ma solo a condizione che si voti entro l’estate: «Ridare la parola agli italiani resta la via maestra. Se Draghi dirà che si andrà a votare tra due anni è chiaro che noi non potremo votare lui. Anche perché non è vero che non si possa andare alle elezioni». Ancora più rigida la posizione di Fratelli d’Italia, sebbene già si intravedano le prime concessioni: dopo aver espresso un’opposizione intransigente a Draghi e insistito sulla linea dura del voto anticipato, Giorgia Meloni si trova ora costretta a dover ripiegare sulla proposta di un’astensione unitaria del centrodestra che potrebbe fungere da compromesso per mantenere l’unità, dato l’orientamento più morbido dei suoi alleati.

Il Movimento – Ma il vero punto interrogativo rimane il Movimento 5 Stelle. Con più di un terzo dei seggi in Parlamento, la fiducia del partito pentastellato potrebbe essere decisiva per la formazione dell’esecutivo, ma ora più che mai il gruppo è sull’orlo della spaccatura. Se inizialmente Vito Crimi, capo politico del partito, e altri importanti leader avevano dichiarato la loro totale contrarietà a Draghi e l’assoluta fedeltà a Conte, la posizione di altri sembra essere più accondiscendente, mostrando una maggiore apertura al dialogo, soprattutto se si prospettasse la possibilità di alcune figure ministeriali affidate ai partiti della maggioranza. Lo stesso Luigi di Maio, dopo ore di silenzio, ha rilasciato una dichiarazione volutamente vaga: «Io credo che il punto non sia attaccare o meno Draghi. Il punto qui è che la strada da intraprendere a mio avviso è un’altra. E, come ho detto, è quella di un governo politico».

Le prospettive – «Mi appello ai Cinque stelle: sostenete Draghi con noi», è l’invito di Dario Franceschini, capo delegazione del Pd durante il Conte-bis. Da mercoledì, infatti, continua l’opera di convincimento da parte del Partito Democratico e di LeU degli ex alleati, il cui mancato sostegno a Draghi implicherebbe necessariamente l’appoggio, o almeno l’astensione, della Lega (dando per scontato il sì di FI) per il raggiungimento della maggioranza. L’obiettivo di Draghi è quindi quello di convincere un partito tra Lega o M5S a sostenere il governo o al limite ad astenersi, in modo da abbassare la soglia necessaria per la fiducia in Parlamento.