Al voto, al voto. E’ questa l’impressione che si ricava da una giornata, quella di mercoledì 19 giugno, sul fronte della tenuta del governo Conte. Ovvero: se l’esecutivo dovesse durare, non sarà per molto. Nella notte c’è stata la risposta del presidente del Consiglio alla Commissione Europea sulla possibile procedura d’infrazione ma nei palazzi romani si è parlato solo di due fatti che potrebbero cambiare gli equilibri della maggioranza nei prossimi mesi. Da una parte, la nomina di Giovanni Toti e Mara Carfagna a coordinatori di Forza Italia fino al congresso di dicembre scongiura la scissione del governatore della Liguria dal partito e riavvicina gli azzurri alla Lega di Matteo Salvini. Si potrebbe così ricostruire un polo di centrodestra come quello che ha corso alle elezioni nel 2018. In serata, invece, ancora prima della messa in onda di Otto e Mezzo, le agenzie iniziano a battere l’annuncio di Alessandro Di Battista: «Credo che la Lega voglia far cadere il governo e se si torna al voto mi candido al 100 per cento» ha detto, incalzato da Lilli Gruber, l’ex deputato grillino che non aveva corso alle politiche di un anno fa per volare in Sudamerica e scrivere reportage.

La svolta di Forza Italia – Dopo mesi di gelo e scontri, ieri Toti e Berlusconi si sono incontrati a pranzo a Palazzo Grazioli e nella riunione è stato trovato un compromesso: il governatore non uscirà da Forza Italia, come da lui ventilato più volte nelle ultime settimane, ma allo stesso tempo dovrà traghettare il partito, insieme a Mara Carfagna, verso il congresso di dicembre. I due dovranno scrivere le regole ed è probabile che la nuova leadership sia scelta attraverso un turno di primarie, quelle che Berlusconi ha sempre avversato e che sia Carfagna che Toti invece chiedono da tempo. Nel team congressuale entreranno anche le due capogruppo alla Camera e al Senato, Mariastella Gelmini e Anna Maria Bernini, ma anche il vicepresidente di FI, Antono Tajani. Il potere maggiore però lo avranno proprio Toti e Carfagna, ovvero gli esponenti più rappresentativi degli azzurri nel nord e nel sud Italia. Nella sua nota di mercoledì sera, Berlusconi ha aperto alle primarie per la nuova leadership: «Si valuterà l’opportunità di indire ampie consultazioni popolari in ordine alle cariche elettive» ha scritto l’ex Cavaliere. La proposta sarà votata dal consiglio nazionale il prossimo 13 luglio. La scelta di tenersi stretti Toti e Carfagna e di affidare loro due cariche di potere importanti è stata letta da molti come un riavvicinamento di fatto alle posizioni di Matteo Salvini, che con il governatore della Liguria dialoga da tempo. I rapporti tra Berlusconi e il leader del Carroccio sono freddi da mesi: se Toti dovesse prendere le redini del partito, Forza Italia e Lega potrebbero tornare a parlarsi in vista di una coalizione simile a quella del 2018.

Il ritorno di “Dibba” – Mercoledì sera è tornato in campo anche Alessandro Di Battista per presentare la sua nuova fatica letteraria: “Politicamente Scorretto” (edito da Paper First, la casa editrice del Fatto Quotidiano). Nonostante la giacca e camicia di ordinanza, l’ex deputato M5S è sembrato più barricadero che mai: Salvini «non è fascista ma è un conformista», «è come Renzi perché tra essere furbi e bravi c’è una bella differenza» e «sta cercando un pretesto per far cadere il governo». Non solo, il vero leader “extraparlamentare” del M5S ha incalzato il vicepremier leghista sui dossier più scottanti del governo gialloverde: sulla flat tax «ci dica dove vuole trovare i soldi» e su Tap, Tav e Radio Radicale «non ha scelto di mettere prima gli italiani». Di Battista a Otto e Mezzo però ha fatto capire che si tornerà al voto entro un anno. In tal caso, ha annunciato, si ricandiderà «al 100 per cento» e chiederà chiesto che questo anno di governo non venga considerato come legislatura, scomputandolo quindi dal limite dei due mandati previsto dalle regole dei 5 Stelle. Di Maio – che lui chiama amichevolmente «Luigi» nonostante i rapporti non proprio idilliaci – sarebbe il capo politico «ancora per altri tre anni».

Quando si può votare – Sul futuro del governo, le opzioni sul tavolo adesso restano due: o cade in estate e si va a votare entro fine settembre oppure tutto viene rimandato al prossimo anno, più probabilmente in primavera. Più irrealistica l’ipotesi di un governo di legislatura che duri altri quattro anni: come ha ammesso lo stesso Salvini in una riunione di lunedì con i ministri leghisti, le fratture aperte con i 5 Stelle ormai sono troppe e difficili da colmare. Ma è realistica l’ipotesi di un voto a fine settembre, magari domenica 30? Sì, ma i tempi sono piuttosto stretti e il presidente della Repubblica dovrebbe sciogliere le camere entro metà luglio. Infatti, secondo la Costituzione, dal decreto di scioglimento devono passare almeno 45 giorni prima del voto e mai oltre 70. La prassi vuole che le elezioni vengano convocate tra il sessantesimo e il sessantacinquesimo giorno, per cui fine settembre sarebbe ancora possibile. In caso contrario, sarebbe quasi impossibile votare prima del 2019 perchè da ottobre a dicembre il governo deve presentare la nuova finanziaria a Bruxelles e aprire una trattativa per scongiurare la procedura d’infrazione. “Dibba” permettendo.