Nel Partito Democratico l'opposizione evoca la scissione. Pippo Civati: "La ditta non c'è più".

Nel Partito Democratico l’opposizione evoca la scissione. Pippo Civati: “La ditta non c’è più”.

Meglio un uovo oggi che una gallina domani. Nella minoranza del Partito Democratico cova un sentimento nuovo: compiacersi del male minore e andare alle elezioni con il vecchio proporzionale, anche a costo di fare una frittata. La ricetta, sfornata dagli studi di Omnibus nella mattina di martedì 31 marzo, porta la firma del bersaniano Alfredo D’Attorre: “Se io devo consentire una cattiva riforma elettorale e una cattiva riforma costituzionale, meglio andare al voto con il sistema proporzionale”.

Da un lato la minoranza, che annusa aria di elezioni anticipate e, per una volta compatta, porta avanti la sua battaglia per ottenere alcune modifiche all’Italicum. Dall’altra i renziani che tracciano una linea retta sulle strada della legge elettorale e non cedono al ricatto dell’ala minoritaria del partito. Maggioranza e opposizione interna sono sempre più ai ferri corti dopo l’approvazione in direzione PD  della legge elettorale con 120 “sì” e l’astensione della sinistra dem. “Decidere non è fascista”, ha detto Renzi. “Evitiamo che il Pd abbia un tasso di conformismo superiore al Partito comunista Nord coreano”, obietta Stefano Fassina. Due campane per una sola grande chiesa.

Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana, prova a fare ordine e richiama tutti all’unità delle origini: “Extra Ecclesiam nulla salus. Io appartengo ancora a questa idea, fuori dalla Chiesa non c’è salvezza. Poi, nella Chiesa ci si deve stare, dire la nostra, si può criticare, a volte è necessario”. Così Rossi, a margine di un’iniziativa sull’istruzione a Firenze, ha invitato la minoranza dem a non fare dell’Italicum una crociata. Solo una battaglia, perché le priorità sono altre: “Il lavoro, l’occupazione e la ripresa, se c’è perché anche questo andrà verificato prossimamente”.

Ma i bersaniani non perdono di vista l’altro grande terreno di scontro, quello del Jobs act e dei suoi veri o presunti effetti a breve termine: “Siamo ancora molto lontani da una ripresa che possa avere un significativo impatto sull’occupazione”, ha osservato D’Attorre. “Il Jobs Act voluto da Renzi produrrà i suoi effetti nei prossimi anni. Ma non ci sarà nessun aumento dei posti di lavoro, bensì un incremento della precarietà e una tendenza alla compressione dei salari”. Un commento che smentisce il trionfalismo di Renzi, dopo che i dati Istat relativi a febbraio segnalano una ripresa della disoccupazione generale e giovanile.

Se il capogruppo alla Camera Roberto Speranza avverte che sulla via della riforma elettorale “si rischia di perdere un pezzo di Pd”, lo stratega D’Attorre butta acqua sul fuoco: “Le elezioni? Una minaccia con una pistola ad acqua perché Renzi non tornerebbe più al governo”. Meglio votare con il Consultellum allora, dove chi ha tutto da perdere sarebbe il premier. Il traguardo è vicino: il prossimo 27 aprile la nuova legge elettorale tornerà alla Camera ed entro maggio Renzi vuole mettere la parola fine.

Elisabetta Invernizzi