Delle urne del 2 giugno 1946, quelle del primo referendum in Italia, è rimasto poco: sono cambiate circostanze e tematiche, e in un certo senso, anche il referendum in sé che, pian piano, ha mutato la sua forma. Il referendum abrogativo è disciplinato dall’articolo 75 della Costituzione ma per quasi quarant’anni, non è stato utilizzato come strumento di democrazia diretta: sono state le leggi n. 352/1970 e 138, a regolare il tutto. Dal 1946 in Italia si sono svolti 78 referendum, di cui 72 di carattere abrogativo, come quello dell’8 e 9 giugno, ma dalla sua esistenza lo strumento referendario ha subìto modifiche, sia nel raggiungimento dei quesiti, sia nelle modalità e anche nei temi.

Le tematiche – Come spiega Federico Pizzetti, docente di Diritto costituzionale all’università Statale di Milano, il cambiamento dei tempi è dimostrato dalla scelta dei temi proposti per i referendum: negli anni ’70 e ’80 gli italiani hanno votato per materie “etiche”, come il divorzio e l’interruzione di gravidanza, mentre oggi si chiede di esprimere il proprio voto su temi sempre più tecnici. In parte, la diminuzione di referendum su temi “etici” può dipendere anche dalla Corte costituzionale. Il docente infatti ha spiegato che, sempre di più, la Corte ha bloccato i quesiti giudicandoli inammissibili. «Ma la varietà dei temi proposti dipende anche dalla sensibilità politica-sociale dei promotori: i referendum sul divorzio e sull’aborto nascevano anche da leggi approvate con maggioranze trasversali rispetto a quella politica di governo. Nel caso del divorzio, il partito di maggioranza relativa scommise sulla forza del referendum in funzione antagonista (e fu, infatti, considerato un “successo” la vittoria del NO)», ha spiegato il professore di diritto. «In realtà anche in passato vi furono referendum su temi “tecnici”», ha puntualizzato Pizzetti, «che animarono vivacemente opinione pubblica, partiti politici ed affluenza». Ad esempio, il referendum sulla scala mobile, sulla responsabilità civile dei magistrati, sul nucleare, sulle tv e la concorrenza, sulla preferenza unica e la legge elettorale: «Questi due ultimi di cesura popolare fra prima e seconda repubblica».

Le modifiche – Altri elementi evidenziati dal docente sono le modifiche che i referendum abrogativi hanno subìto nel tempo e continuano ad affrontare: da una parte l’intervento della Corte costituzionale, dall’altra quella dei proponenti, ovvero di chi propone i quesiti. «La Corte opera nell’individuazione dei requisiti “impliciti” di inammissibilità, mentre alcuni leader politici e istituzionali, puntano sulla tecnica del “ritaglio”, nei limiti in cui è consentita dal referendum, per ricavare, dai testi esistenti, per sottrazione, discipline “diverse”, anche articolate e complesse, rispetto all’abrogazione “secca”».

Le modalità – Infine, non possono essere tralasciate le modalità: matite e schede alla mano, le votazioni in Italia sono rimaste più o meno le stesse. Eppure, alcune innovazioni hanno tentato di avvicinare sempre più cittadini al voto. «Altro elemento, solo all’apparenza marginale, di modifica dell’istituto, è dato dalla possibilità di sottoscrivere la richiesta referendaria anche in via digitale. Questo ha reso più agevole, anche sottoforma di propaganda social che prende elettori più digitalmente avanzati, la raccolta delle “firme” richieste per proporre il quesito referendario», ha spiegato il docente della Statale di Milano. Così come la possibilità data ai fuorisede di poter votare anche fuori dal seggio di residenza: non sappiamo ancora se il quorum dell’ultimo referendum verrà raggiunto, eppure, sappiamo già che in una città come Bologna il seggio dei fuorisede ha registrato l’affluenza più alta rispetto agli altri. Matita e scheda rimangono, ma alcuni segnali dimostrano che i tempi sono cambiati.