Lance Armstrong è atteso in cassa. Dopo dieci anni dall’inizio della causa per doping che l’ha privato della vittoria in sette Tour de France, è giunto il momento di pagare il conto. Salato. Totale: dieci milioni di dollari (8,8 milioni di euro).  Il campione texano ha perso l’arbitrato contro la Sca Promotions, la compagnia di assicurazioni che era  uno dei suoi sponsor negli anni dei Tour incriminati. Nel 2006 l’azienda aveva dovuto pagare 7,5 milioni di dollari ad Armstrong, che aveva pure fatto ricorso per vedersi riconoscere il bonus della vittoria da cinque milioni nel Tour 2004. Sca aveva già versato quattro milioni e mezzo al ciclista per le vittorie dal 2001 al 2003.

Tutto cambiò il 17 gennaio 2013, quando l’ex campione di ciclismo ammise di aver fatto uso di sostanze dopanti in diretta televisiva, con le lacrime agli occhi davanti alla conduttrice Oprah Winfrey. Inevitabile che lo sponsor accusasse Armstrong di aver ingannato anche loro. La prima richiesta era di 12 milioni di dollari per “frode e cospirazione”.

“Il premio di dieci milioni di dollari è la più grande delle sanzioni valutate contro un individuo nella storia giudiziaria americana”, si legge in una nota della Sca del 16 febbraio. Ad aggravare la posizione di Armstrong è stata anche la durata delle sue bugie: “Armstrong ha continuato a mentire anche durante l’ultima audizione, pur ammettendo falsità e altri comportamenti illeciti”, ha segnalato il legale della compagnia Jeff Tillotson.

Ma com’è cambiata la vita dell’ex ciclista in questi dieci anni? Oggi è un sopravvissuto di cancro ai testicoli, fondatore dell’associazione anti-tumore Livestrong, con quasi quattro milioni di follower su Twitter e cinque figli. Proprio lo scandalo, a suo dire, avrebbe aumentato le donazioni alla Fondazione, a beneficio della ricerca oncologica. Ma Armstrong è soprattutto un colpevole non pentito. In un’intervista alla Bbc del 27 gennaio ha commentato: “Se iniziassi la carriera oggi, non mi doperei. Ma se mi portaste indietro nel 1995 probabilmente lo rifarei, perché il doping era totalmente diffuso. La mia, quella della mia squadra e dell’intero plotone è stata una decisione sbagliata in un momento imperfetto, ma è successo. E io so anche quello che poi è successo allo sport, ho visto la sua crescita”. .

Chiara Piotto