Resta in carcere Claudio Campiti, l’ex assicuratore che ha aperto il fuoco durante una riunione del Consorzio Valle Verde a Fidene, uccidendo quattro donne e ferendo altre tre persone. Sentito dal Gip Emanuela Altura, Campiti non ha mostrato «segno di alcuna resipiscenza», ossia di consapevolezza e pentimento delle proprie azioni. Secondo la giudice, se rimesso in libertà, Campiti potrebbe compiere nuovamente atti violenti: da qui la convalida del fermo, nel carcere di Regina Coeli, con l’aggiunta del regime di sorveglianza.

L’abitazione di Claudio Campiti (ANSA/ EMILIANO GRILLOTTI)

L’ombra di una casa – «Ero esasperato per le condotte mafiose tenute da anni in mio danno dagli organi deliberanti del Consorzio», ha detto Campiti al magistrato. Dopo la morte del figlio di 14 anni e la separazione dalla moglie, l’uomo viveva in una villetta non finita in provincia di Rieti, all’interno di un complesso tra Rocca Sinibalda e Ascrea gestito dal Consorzio Valle Verde. I carabinieri hanno accertato che aveva perso il lavoro da tempo, e percepiva il reddito di cittadinanza. Senza allacciamento alla rete idrica e fognaria, l’uomo abitava nel seminterrato, che aveva ultimato da solo, mentre i piani superiori sono ancora ridotti a uno scheletro. Tra le colonne di cemento, uno striscione con la scritta “Consorzio Raus” (“Consorzio fuori”). Non si trattava di una casa abitabile, per il sindaco di Rocca Sinibalda, ma probabilmente Campiti «era molto legato a questa abitazione, e credo che per lui fosse l’unica cosa che aveva».

Una situazione irregolare – Vivere in un edificio inagibile non è consentito dalla legge e dal 1999 si configura come un illecito amministrativo, per cui il Comune non può negare la residenza a chi ci abita, ma può multarlo per violazione delle norme edilizie. Il sindaco di Ascrea ha dichiarato che in passato era stato fornito supporto economico per realizzare l’allaccio al sistema fognario all’edificio di Campiti, ma quei lavori non erano iniziati, e il contributo era stato ritirato. Sul proprio blog, Campiti denunciava le attività degli amministratori del Consorzio, da lui definito un’associazione a delinquere: in particolare, sottolineava che interventi di urbanizzazione importanti non erano stati realizzati in tempi brevi, che le richieste delle quote consortili ricalcavano le logiche del “pizzo” e che la posta non veniva consegnata perché il territorio è considerato “terreno privato”.

Nessun porto d’armi – Insieme all’aggravante dei futili motivi e della premeditazione, l’accusa contesta a Campiti anche il porto d’armi abusivo. Per la sparatoria ha infatti utilizzato un’arma semiautomatica sottratta al poligono di tiro di Tor di Quinto, dove si esercitava. Per iscriversi a un poligono nazionale, come quello frequentato da Campiti, non è necessario un porto d’armi, che gli era stato rifiutato nel 2018 proprio in seguito a diverse denunce degli altri abitanti delle case gestite dal Consorzio. È sufficiente una certificazione del casellario giudiziale e quello dei carichi pendenti, ma può trattarsi anche di un’autocertificazione, senza obbligo di controllo per il poligono. «Non è richiesto ai tiri a segno nazionali di informarsi se a una persona sia stato negato il porto d’armi dalle autorità di Pubblica sicurezza o addirittura se gli sia stato revocato», spiega all’Ansa Giorgio Beretta dell’Osservatorio permanente armi leggere.

Il poligono di tiro di Tor di Quinto (ANSA/ANGELO CARCONI)

La normativa italiana – I tiro a segno nazionali sono gli unici autorizzati ad avere un’armeria propria e si devono assicurare che le armi non lascino l’edificio, mentre ai poligoni privati accedono solo le persone che hanno già il porto d’armi e utilizzano la propria arma personale. I poligoni privati hanno bisogno di una licenza dall’Autorità di pubblica sicurezza per operare, mentre quelli come la struttura di Tor di Quinto, affiliati all’Unione Italiana Tiro a Segno Nazionale (UITS), che è un ente di diritto pubblico, seguono un altro procedimento. L’Ansa ha contattato il presidente dell’UITS, che non ha voluto rilasciare dichiarazioni e ha rimandato alle informazioni disponibili sul sito del Ministero dell’Interno.

Strette sui poligoni – Non esistono dati ufficiali sul numero di armi in circolazione. Secondo la polizia, circa 1.222.537 italiani sono in possesso di una licenza di porto d’armi, quasi il corrispettivo degli abitanti di Milano. Le regole per ottenerla sono rigide, ed è necessaria un’autorizzazione finale dalla Questura. È ancora poco chiaro come Campiti si sia impossessato delle munizioni, mentre il poligono di Tor di Quinto è stato messo sotto sequestro. Il prefetto di Roma Bruno Frattasi ha annunciato «controlli amministrativi per verificare la regolarità della conduzione di queste strutture».