Trent’anni di negoziati sul clima per mettere d’accordo 198 Paesi sulla necessità di abbandonare i combustibili fossili. Il messaggio politico della Cop 28, la 28esima Conferenza Onu sul cambiamento climatico, è chiaro: per evitare il riscaldamento globale bisogna cominciare ad allontanarsi da petrolio, carbone e gas. L’accordo della Cop di Dubai è arrivato il 13 dicembre con ventiquattro ore di ritardo, ma l’intesa, nonostante le imperfezioni, è storica.

Il presidente della Cop28, Sultan Al Jaber, alla plenaria finale (fonte: Flickr)
Rivoluzione industriale – Nell’anno più caldo mai registrato, l’accordo di Dubai consegna al mondo la mappa per una nuova rivoluzione industriale. Un nuovo modo di produrre energia: via i combustibili fossili (carbone, petrolio e gas), spazio alle fonti rinnovabili, e in parte anche al nucleare e alle tecnologie per la cattura della CO2 nei settori in cui è difficile fare una transizione energetica. La coalizione dei Paesi più ambiziosi – Unione europea, Stati Uniti, Canada, nazioni insulari e Paesi molto vulnerabili alle catastrofi legate al clima – spingevano per un accordo di phase out, cioè di uscita dalle fonti fossili. La proposta, però, continuava a essere respinta dagli Stati esportatori di petrolio: Arabia Saudita, Iraq, Iran, Kuwait e Russia. La soluzione di compromesso è racchiusa nelle parole «transitioning away»:bisogna allontanarsi gradualmente dai combustibili fossili, causa principale del riscaldamento globale. L’obiettivo: arrivare alle emissioni nette zero entro il 2050 in modo giusto e ordinato. Per farlo si chiede ai Paesi di triplicare la quantità di energia rinnovabile entro il 2030 e di ridurre le emissioni di metano, gas che nel breve termine provocano più effetto serra della CO2.
Messaggio politico – Gli accordi delle Cop non sono vincolanti legalmente e, dunque, nessun Paese è costretto ad agire. Tuttavia, l’impatto che questi vertici hanno sull’opinione pubblica è forte. Il messaggio di Cop 28 a investitori e politici è chiaro. Nei prossimi due anni, ogni nazione dovrebbe presentare un piano dettagliato e formale su come intende ridurre le emissioni di gas serra entro il 2035, il cosiddetto Ndc, Nationally determined contribution. L’accordo di Dubai è la guida per decidere i piani. «Questa non è una transizione che avverrà da un giorno all’altro», ha detto questa settimana Susana Muhamad, ministra dell’Ambiente della Colombia. «Intere economie dipendono dai combustibili fossili. Il capitale fossile non scomparirà solo perché abbiamo preso una decisione qui», ma, ha aggiunto, un accordo invia «un forte messaggio politico che questa è la via».
Finanza climatica – Nella plenaria conclusiva molti Paesi, inclusi quelli emergenti, hanno comunque rilasciato dichiarazioni di apprezzamento per lo storico passo avanti sulle fonti fossili. Il prezzo da pagare per raggiungere il compromesso finale è, però, quello relativo alla finanza climatica, i soldi necessari all’adattamento al cambiamento climatico: c’è poco riferimento alla finanza nel testo dell’accordo. Ci sono grandi interrogativi su come sarà finanziata la transizione energetica o l’adattamento nei Paesi emergenti e vulnerabili. L’Agenzia internazionale dell’energia ha dichiarato che saranno necessari 4,5 trilioni di dollari all’anno solo per l’energia pulita entro il 2030, rispetto agli 1,8 trilioni investiti nel 2023. Nessuna decisione significativa dunque salvo, il fondo dedicato al risarcimento dei danni e delle perdite (Loss and damage fund) che i Paesi occidentali dovranno versare agli Stati meno responsabili delle emissioni. La promessa arrivata a sorpresa nella cerimonia d’apertura della Cop 28 è di 700 milioni di dollari.
Multilateralismo – Le Cop sono contesti multilaterali istituiti per tradurre le conoscenze scientifiche sul clima in azioni politiche. Questi negoziati includono anche Paesi che non fanno parte del G7 o del G20, nazioni piccole e Stati con un’economia più o meno emergente. Raggiungere un accordo è perciò complicato. «Quella multilaterale è il tipo di politica più difficile che ci sia», ha detto l’inviato per il clima degli Stati Uniti John Kerry nella plenaria finale. «Tutti tornano a casa scontenti di qualcosa, di un paragrafo o una parola, ma un messaggio politico è stato mandato». I colloqui, che hanno spinto il summit sul clima oltre il suo termine, hanno messo a nudo il divario finanziario tra gli Stati. I Paesi occidentali emettitori storici di gas serra hanno un problema di responsabilità della crisi climatica. I Paesi meno responsabili e più vulnerabili richiedono le risorse economiche per la mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico.
Problema di equità – Le piccole nazioni insulari sostengono che livelli elevati di debito e alti tassi di interesse li rendano incapaci di far fronte agli eventi meteorologici estremi resi più frequenti dal riscaldamento globale. Mona Ainuu, ministro delle risorse naturali dell’atollo Niue, ha dichiarato: «Abbiamo bisogno di aiuto nel Pacifico. Stiamo affondando man mano che il livello del mare aumenta». Molti governi, soprattutto in Africa e in America Latina, ritengono che sfruttare le risorse di petrolio e gas è fondamentale per il loro sviluppo economico. Sebastian Carranza Tovar, funzionario colombiano, ha detto che il suo Paese prendeva «seriamente la scienza climatica», nonostante dipendesse fortemente dal carbone per finanziare il sistema sanitario e quello scolastico. Ancora, Avinash Persaud, negoziatore e inviato per clima delle Barbados, ha dichiarato che, «qualsiasi impegno a eliminare immediatamente i combustibili fossili sarebbe senza senso se non ci fossero gli investimenti e le finanze per realizzarlo».