Pedro Sanchez celebra il risultato del voto di fiducia con la leader di Sumar Yolanda Díaz (Fonte: Epa/Juan Carlos Hidalgo)

«Altri quattro anni di stabilità, convivenza e progresso». L’impegno che il leader del Partito socialista spagnolo (Psoe) Pedro Sánchez si era assunto in Parlamento durante il dibattito per la fiducia ha ufficialmente preso il via il 22 novembre, con la prima riunione dei ministri del suo terzo governo. Il nuovo esecutivo si pone in continuità con i due precedenti: accanto al presidente rimangono molti dei ministri socialisti in carica dal giugno del 2018, quando una mozione di sfiducia costruttiva promossa da Sánchez ha posto fine a una stagione di governi di centrodestra. Cinque anni e mezzo più tardi, le novità riguardano piuttosto i compagni di viaggio: nella prossima legislatura la principale alleata del presidente sarà Yolanda Díaz, già vicepresidente nel governo uscente e leader della formazione di sinistra radicale Sumar. Su 22 ruoli ministeriali, cinque sono occupati da esponenti della lista di Díaz. Tra di loro c’è la ministra dell’Infanzia Sira Rego, nata a Valencia da padre palestinese. La sua vicinanza biografica e politica alla causa palestinese potrebbe essere un segnale delle posizioni che adotterà il nuovo governo in politica estera. Già questo giovedì Sánchez sarà impegnato in Medio Oriente, dove incontrerà il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas.

Il Consiglio dei ministri e delle ministre Anche per il suo terzo mandato Sánchez ha deciso di applicare la parità di genere nella distribuzione delle cariche di governo. «Il Consiglio dei ministri e delle ministre», come lui stesso lo ha chiamato durante il giuramento davanti al re, è infatti composto da 12 donne e dieci uomini, oltre al presidente. Al femminile sono tutte le quattro vicepresidenze del governo, tra cui spiccano i nomi di Nadia Calviño (prima vicepresidente e ministra dell’Economia) e Yolanda Díaz (confermata al Ministero del Lavoro). La permanenza di Calviño nell’esecutivo potrebbe comunque avere vita breve, perché la sua candidatura è la più accreditata tra quelle in corsa per la presidenza della Bei, la Banca europea degli investimenti. Oltre alle vicepresidenti, Sánchez ha riservato un ruolo di primo piano per altri due fedelissimi: la ministra dell’Istruzione Pilar Alegría, che sarà portavoce del governo e assumerà le deleghe allo Sport, e il ministro della Presidenza Félix Bolaños, che sarà al contempo titolare della Giustizia. La ministra della Giustizia uscente non è infatti stata confermata, così come la ministra dell’Uguaglianza Irene Montero: a loro si attribuisce il fallimento della legge del “solo sì è sì”, nata con l’intento di perseguire come violenza sessuale qualsiasi rapporto non consensuale, ma che ha comportato il rilascio di molti condannati per stupro. Fuori dal governo resta anche la ministra dei Trasporti uscente, che lo scorso febbraio aveva dovuto gestire le polemiche scatenate dalla progettazione di treni fuori misura per le gallerie delle ferrovie regionali spagnole. Nessun posto, infine, per la segretaria di Podemos Ione Belarra: la sua uscita, insieme a quella di Irene Montero, lascia il partito senza rappresentanti nell’esecutivo di Madrid.

La manifestazione del 18 novembre contro la legge di amnistia concordata tra il centrosinistra e gli indipendentisti catalani (Fonte: Epa/Fernando Alvarado)

Una legislatura complessa – A differenza dell’Italia, in Spagna il presidente del governo deve chiedere la fiducia in Parlamento prima di nominare i ministri. Sánchez ha affrontato il dibattito parlamentare il 15 e 16 novembre, dopo mesi di trattative con le altre forze politiche, riscuotendo 179 voti favorevoli su 176 richiesti. Decisivi sono stati i consensi dei partiti indipendentisti catalani e baschi, ago della bilancia in un Parlamento uscito frammentato dalle elezioni anticipate dello scorso 23 luglio. A sbloccare le trattative è stata in particolare la promessa di una legge di amnistia per tutti i militanti indipendentisti coinvolti nel tentativo di secessione della Catalogna del 2017, a partire dal leader di Junts per Catalunya, Carles Puidgemont, tuttora rifugiato in Belgio per evitare il processo in Spagna. Dall’annuncio dell’accordo tra Psoe e indipendentisti, migliaia di spagnoli sono scesi in piazza a protestare, causando disordini per le strade e arrivando in alcuni casi allo scontro diretto con le forze di polizia. La manifestazione più partecipata si è tenuta a Madrid lo scorso sabato 18 novembre, quando 170 mila persone si sono riunite per criticare il compromesso raggiunto da Sánchez. All’evento hanno partecipato anche i leader del Partito popolare, Alberto Núñez Feijóo, e di Vox, Santiago Abascal, che però non sono intervenuti sul palco. Nonostante il numero elevato di partecipanti, la protesta ha mantenuto toni pacifici e non è sfociata in scontri di piazza nemmeno quando un gruppo di manifestanti si è diretto verso la sede del governo.