Il partito repubblicano conquista la Camera, ma non stravince perché al Senato si profila un pareggio. Nella giornata di martedì 8 novembre milioni di americani si sono recati alle urne per le elezioni di metà mandato, per eleggere un terzo del Senato e l’intera Camera dei rappresentanti e per votare i nuovi governatori di alcuni Stati. In gioco le sorti dell’amministrazione di Joe Biden e la sua libertà d’azione che per ora sembra al sicuro, seppur azzoppata dalla sconfitta.

La tenuta Dem – Al momento il conteggio, che si protrarrà per settimane, vede i Repubblicani in testa alla Camera con 204 seggi contro i 187 del partito del Presidente su un totale di 435 seggi. Al Senato Biden è sotto in un testa a testa, 48 contro 49, e rimangono tre posti da assegnare su 100 disponibili. Nel caso in cui si arrivi a un pareggio, come si è già verificato nel 2020, la vicepresidente Kamala Harris potrà far valere il suo diritto di voto. Per Biden è un successo storico, nonostante la sconfitta. Il Presidente degli Stati Uniti descrive l’esito come «un bel giorno per la democrazia»: i rivali faticano a raggiungere la quota dei 29 seggi alla Camera che di solito l’opposizione acquista nelle elezioni di medio termine e il suo partito ha ottenuto il miglior risultato nell’elezione dei governatori nell’ultimo secolo. In bilico ancora tre Stati: Nevada con in testa un candidato repubblicano, Arizona con il vantaggio democratico e la Georgia che invece andrà al ballottaggio il 6 dicembre. Il blocco trumpiano è stato contenuto: alla Camera i candidati negazionisti sono stati battuti dall’avversario in Wisconsin, Michigan e Pennsylvania. Nella conferenza stampa del 9 novembre, Biden ha rilanciato la sua candidatura: «la nostra intenzione è di correre di nuovo per le presidenziali». Tuttavia, il Presidente si tiene aperte alcune opzioni, affermando che la decisione sarà presa d’intesa con la famiglia.

Donald Trump (Google/Creative Commons)

Donald Trump (Google/Creative Commons)

La furia di Trump – Un Trump definito come “furioso” da chi gli sta accanto nella sua reggia di Mar-a-Lago, da dove ha seguito lo spoglio delle Midterm. Il plotone di reclute che doveva umiliare e bloccare l’amministrazione potrà solo azzopparla rallentando l’iter legislativo o proponendo inchieste parlamentari. Tanto potere, ma non abbastanza. I suoi candidati eletti alla Camera costituiscono un gruppo numeroso ma non costituiscono la maggioranza. Al Senato, il leader dell’opposizione è Mitch McConnell che non ha un buon rapporto con «The Donald». Simbolo della delusione trumpiana è la sconfitta del candidato repubblicano in Pennsylvania Mehmet Oz, battuto dal rivale John Fetterman. La candidatura Oz era stata avanzata dall’entourage dell’ex presidente, a cominciare dalla moglie Melania. Il Tycoon ha però inviato una mail ai suoi supporter dove si legge che tra poco annuncerà «qualcosa di enorme a Mar-a-Lago». La sua corsa alle primarie è vicina mentre il partito dovrà scegliere se scommettere sulla sua rielezione o puntare sul giovane governatore della Florida Ron DeSantis.

Stati in bilico – Nevada, Arizona e Georgia sono gli Stati che decideranno le sorti del Senato. Nei primi due il vantaggio di una parte o dell’altra è evidente seppur minimo: nello stato di Las Vegas Adam Laxalt, repubblicano, è in vantaggio di ventimila voti con il 79% di voti scrutinati; in Arizona il democratico Mark Kelly ha un vantaggio di cinque punti percentuali. Discorso a parte merita la Georgia dove i due competitors non hanno raggiunto la soglia del 50% più uno dei voti e per questo andranno al ballottaggio il 6 dicembre.