Feroce, dissacrante, sconvolgente, irriverente. A un anno dalla strage dell’attentato della redazione parigina di Charlie Hebdo, il giornale satirico non ha cambiato la propria natura.
La mattina del 7 gennaio 2015 al civico 10 di Rue Nicolas-Appert due individui armati di kalashinikov – i fratelli Said e Cherif Kouachi – entrarono negli uffici del giornale e uccisero dodici persone. L’attentato apparve sin da subito di matrice jihadista. Le vittime: un addetto alla portineria, otto giornalisti, due poliziotti e un invitato alla riunione di redazione. La colpa degli autori di Charlie Hebdo era stata quella di aver rappresentato e schernito Maometto.
La solidarietà dei francesi non si fece attendere. La maggioranza del mondo occidentale si schierò subito a favore del diritto di satira. In breve tempo l’hashtag #jesuischarlie divenne virale.
Un anno dopo, invece, sono tutti contro l’ultima copertina di Charlie Hebdo. Un dio (quello cristiano) con un Kalashnikov in spalla, le vesti intrise di sangue e una scritta che recita “L’assassino è sempre in fuga” ha tramutato i liberi pensatori in ” #jenesuispasCharlie”. Eppure la linea del giornale è da sempre la stessa: liberté, liberté, liberté.
Oggi 7 gennaio il presidente frances Francois Hollande parlerà a un raduno delle forze anti-terrorismo nel quartier generale della polizia, a Parigi, per sottolineare l’emergenza sicurezza in cui la Francia vive, un anno dopo Charlie, due mesi, quasi, dopo la strage alla sala concerti parigina Bataclan. Un anno fa, eravamo tutti Charlie. Adesso, con l’ultimo numero in edicola, ne siamo un po’ meno sicuri…
Flavio Bianco