Relazioni economiche, priorità militari e diritti umani. Nella sua prima telefonata da presidente degli Stati Uniti al presidente cinese Xi Jinping, Joe Biden è andato diritto su alcuni aspetti nevralgici del rapporto tra Usa e Cina. Durante il «colloquio introduttivo», così lo ha definito la Cnn, Biden, ha richiamato Pechino sul suo uso della tecnologia e le sue pratiche di commercio sleale. Ma il neoeletto presidente si è concentrato soprattutto sulle violazioni dei diritti umani da parte dal governo cinese a danno della minoranza uiguri e dei manifestanti di Hong Kong, così come sulle minacce contro Taiwan. Xi Jinping, da parte sua, non avrebbe nascosto il fastidio verso quella che sembra aver recepito come un’intromissione negli «affari interni» della Cina.

La telefonata – Lo scambio telefonico tra i due presidenti è avvenuto nel pomeriggio di mercoledì 10 febbraio, dopo l’annuncio fatto da Biden, in visita al Pentagono, di voler formare una task force per gestire i rapporti con la superpotenza asiatica, soprattutto sul fronte tecnologia e diritti umani. È proprio su quest’ultimo punto che Biden ha insistito nella telefonata a Xi Jinping: il presidente neoeletto, dopo aver menzionato le potenziali aree di cooperazione tra i due paesi – dalla proliferazione nucleare al cambiamento climatico – e aver parlato delle relazioni economiche e delle priorità militari dei due Paesi, ha espresso il disaccordo degli Usa rispetto alla condotta cinese nei confronti degli uiguri – la minoranza perseguitata turcofona di religione musulmana stanziata nella regione dello Xinjiang, nel Nord-Ovest del Paese. Biden non ha risparmiato critiche al modus operandi di Pechino nella repressione dei movimenti pro-democrazia di Hong Kong e la questione Taiwan. D’altronde già a fine gennaio, dopo l’invio da parte del governo cinese di jet e bombardieri nella zona di difesa dell’isola, il Dipartimento di Stato americano aveva ribadito le proprie preoccupazioni, sollecitando Pechino «a cessare le sue pressioni militari, diplomatiche ed economiche contro la democratica Taiwan».

La reazione di Xi Jinping – Nonostante i toni composti, è stato fin da subito chiaro il senso della risposta del presidente cinese alla sua controparte americana: le questioni relative a Taiwan, Hong Kong e Xinjiang sono «affari interni che riguardano la sovranità e l’integrità territoriale della Cina». Xi non ha nascosto la sua irritazione, anche quando, nel resoconto fatto dal Global Times, il tabloid nazionalista del Quotidiano del Popolo, ha aggiunto che gli «Stati Uniti dovrebbero rispettare gli interessi fondamentali della Cina e affrontare tali questioni con prudenza». In caso contrario, l’esito sarebbe «un disastro per entrambi i Paesi» ha aggiunto il presidente cinese, sottolineando la necessità per le due potenze di «rispettarsi a vicenda». Un «dialogo costruttivo» con gli Stati Uniti è ciò che si è augurato Xi – nel resoconto del network statale Cctv – al fine di gestire i dossier aperti e prevenire «incomprensioni ed errori».

Pugno duro – D’altronde, fin da subito, l’amministrazione Biden non ha fatto sconti alla potenza cinese, adottando una linea dura, soprattutto per quanto riguarda la tutela dei diritti delle minoranze. Lo abbiamo visto a fine gennaio nelle dichiarazioni in difesa di Taiwan, ma anche a inizio febbraio, quando il Dipartimento di Stato americano ha apertamente condannato gli abusi a danno delle donne uiguri in quelli che un reportage della Bbc ha denunciato essere dei veri e propri lager. Biden, insoma, è duro quanto Donald Trump. Anzi, forse di più. D’altronde Biden lo aveva anticipato nel suo primo discorso sulla politica estera da presidente degli Usa, quello tenuto il 4 febbraio durante una visita al dipartimento di Stato, quando ha esclamato: «È tornata l’America. È tornata la diplomazia». E le sue prime azioni in fatto di politica estera non sembrano contraddirlo.