Centosessantuno è il numero di voti necessari per avere la fiducia al Senato con maggioranza assoluta. È il numero magico che i sostenitori di Giuseppe Conte vanno ripetendo come un mantra dal pomeriggio del 13 gennaio, giorno in cui Matteo Renzi ha deciso di ritirare le ministre Bellanova e Bonetti dal governo presieduto dall’avvocato del popolo. Il primo ministro parlerà domani, martedì 18 gennaio, a palazzo Madama, dopo il passaggio alla Camera dei Deputati iniziato a mezzogiorno di oggi. Se a Montecitorio il governo gode di un’ampia maggioranza, la partita al Senato è ancora aperta e l’esito della consultazione aprirà diversi scenari politici. «Ho fiducia nei parlamentari e nel paese» dichiara il presidente del consiglio poco prima della seduta alla Camera.
«Mai più con loro!» – Il Quirinale ha accettato le dimissioni di Bellanova e Bonetti ma la successiva conferenza stampa di Renzi., di completa chiusura verso il governo, è stata accolta con sgomento da parte delle altre forze politiche di maggioranza (Pd, Movimento 5 Stelle e Leu). Ospite da Lilli Gruber a 8 e Mezzo, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio (5 Stelle) ha espresso la contrarietà a riammettere Italia Viva nel governo. Anche Nicola Zingaretti, segretario del Partito Democratico, mostra irritazione nei confronti dell’ex-presidente del Consiglio: «Una cosa è rinnovare, altra cosa è aprire una crisi al buio. Se non si rispettano le opinioni degli altri, viene meno la fiducia e la possibilità di lavorare insieme!». Gli fa eco il numero due dei dem, Andrea Orlando che dichiara a Mattino5: «La porta a Renzi chiusa per sempre? L’ha chiusa lui e ieri l’ha ulteriormente blindata continuando ad attaccare il Pd. Per il Pd o c’è questa coalizione e non ce n’e’ un’altra. E Conte è il punto di equilibrio di questa coalizione». Lo stesso presidente Conte è chiaro: «Mai più con loro» e parlando ai deputati aggiunge, senza nominare Renzi: «Non si può recuperare quel clima di fiducia!». Si appella poi alle forze europeiste in parlamento per ampliare la maggioranza e mette in chiaro l’offerta: il ministero dell’agricoltura e l’autorità delegata dell’Intelligence che non aveva ancora scelto. Data la contrarietà dei maggiori azionisti della maggioranza, è oramai chiaro che un governo che includa Italia Viva sia escluso.
Maggioranza assoluta – Il 161 è appunto magico e permetterebbe ai sostenitori di Conte di ottenere una doppia vittoria sui rivali renziani. Avere la maggioranza assoluta dei senatori (cioè la metà più uno dei membri di palazzo Madama, 161 appunto) darebbe la possibilità al governo nascente di svincolarsi completamente dall’appoggio di Italia Viva, sancendo la definitiva sconfitta di Renzi. È il traguardo per cui gli uomini di Conte si sono mossi in questi giorni e che si può attuare solo attraverso l’appoggio dei ‘costruttori’ (chiamati ‘voltagabbana’ o ‘responsabili’ a seconda delle convenienze politiche): coloro che, ora in minoranza, sceglieranno di appoggiare il governo. Tra questi, le truppe del Maie (il Movimento per le Autonomie) guidate da Riccardo Merlo sono uscite dal gruppo misto e hanno cambiato denominazione in “Italia 23”. Ciò ha assicurato che il numero di senatori favorevoli all’esecutivo sia 151. Si aggiungono poi i senatori a vita, come Liliana Segre e Mario Monti, e alcuni ex grillini (Maurizio Buccarella, Gregorio de Falco) che porterebbero l’asticella a 157. Nei giorni precedenti si è parlato di un avvicinamento dei seguaci di Clemente Mastella. Il sindaco di Benevento lancia strali al Pd e al 5 Stelle, ma assicura l’appoggio suo e della moglie Sandra Lonardo (senatrice ex-Fi) al governo. Mastella si definisce «Il medico che chiami per la cura» e paragona Conte ad Aldo Moro. L’avvocato del popolo sarebbe «garbato, moderato e levantino». Un no ufficiale si registra da parte dell‘Udc (ed ex-pd) Paola Binetti, che, secondo il Fatto Quotidiano, non sarebbe però del tutto convinta della scelta. Pierferdinando Casini, che dell’Udc a lungo è stato il segretario (ma che è stato eletto al Senato grazie all’appoggio del Partito Democratico all’uninominale di Bologna), voterà la fiducia. Ettore Rosato, coordinatore di Italia Viva ammette: «Vorrei un governo supportato dall’80% del parlamento. Non mi darebbero fastidio i responsabili». Fatto salvo il trovare qualche altro costruttore nella notte (ipotesi non campata per aria visto che molti senatori perderanno il posto a causa del taglio dei parlamentari approvato in settembre), questo scenario appare difficile. È però l’unico che promette una prosecuzione certa dell’attività del governo attuale. Tuttavia con una maggioranza così risicata ed eterogenea non si scaccerebbe del tutto lo spettro dell’instabilità politica, che ricorda (anche per il ruolo decisivo dei senatori a vita) quella affrontata da Romano Prodi nel 2008. Quel governo venne affondato da… Clemente Mastella e sua moglie.
Maggioranza semplice – In verità potrebbero non servire 161 senatori per proseguire l’esperienza di governo. Le fiducie devono essere approvate dai parlamentari in aula a maggioranza semplice, Costituzione alla mano. In quest’ottica l’astensione annunciata di Italia Viva, il cui leader ha già dichiarato di sostenere le misure d’emergenza come i ristori e lo scostamento di bilancio su cui poggiano, lascia diversi spazi di manovra. Innanzitutto la soglia per la fiducia scenderebbe a quota 149 al Senato, numero già nelle tasche di Conte. Andrea Orlando infatti dichiara: «Sicuramente non riuscirà il tentativo di far cadere il governo».
Secondo Marzio Breda, quirinalista del Corriere, questo quadro non porterebbe alle dimissioni automatiche di Conte, né alla necessità di un rimpasto. Le deleghe di Bellanova e Bonetti continuerebbero ad essere assunte ad interim dall’inquilino di Palazzo Chigi. È comunque probabile che Conte decida di salire lo stesso al Quirinale per nominare altri due ministri, per rafforzare il governo e rendere più convinto l’eventuale sostegno esterno. Nel frattempo, due deputati di Italia Viva, Michela Rostan e Vito de Filippo hanno già annunciato di votare la fiducia al governo e la renzianissima Maria Elena Boschi sembra lanciare un segnale di apertura: «Non abbiamo mai detto ‘mai più’ a una coalizione». Questi sono i motivi per cui Maurizio Gasparri (Forza Italia) pensa che il re sia nudo: «Renzi ha deciso di astenersi perché non ha neanche il controllo delle azioni dei suoi gruppi».
Urne e governi di scopo – Se qualcuno tradisce la causa della maggioranza, il governo perderebbe la legittimazione del parlamento. La palla passerebbe a Mattarella, che avraà di fronte varie ipotesi: un nuovo governo di scopo che approvi il Recovery Plan (ipotesi gradita al presidente della Liguria Giovanni Toti che promette l’appoggio) o che ci porti alle urne La destra di Matteo Salvini e Giorgia Meloni non sta aspettando altro che l’occasione di poter governare e quindi gestire i 209 miliardi di fondi europei. Ma, visti i numeri e l’atmosfera, si tratta per ora più di sogno che di realtà.