Dal Portogallo all’Ungheria, dalla Finlandia alla Grecia passando per l’Italia e persino per la Germania, è uno il vento che soffia sull’intero continente in modo sempre più insistente: l’antieuropeismo. Spinto soprattutto da crisi economiche e tensioni politiche. Un vento che porta sempre più spesso sugli scranni parlamentari chi urla contro Bruxelles. Le ultime elezioni italiane, e non solo, lo confermano.

A cavallo tra la fine degli anni ’90 e i primi del 2000 gli exploit elettorali dell’austriaco Jorg Haider e del Front National di Jean-Marie Le Pen in Francia destarono grande preoccupazione per le loro posizioni xenofobe e antieuropee. Ma furono, tutto sommato, dei casi isolati, liquidati come fenomeni di ultradestra. La realtà odierna è, invece, diversa e più complessa. Innanzitutto, il populismo non è più solo una prerogativa dell’estrema destra: i recenti movimenti che hanno preso piede (e voce) in Europa dimostrano che la rabbia è tanta anche sull’altro versante dello schieramento. Un esempio fra tutti è Syriza, la sinistra greca dura e pura, che si è confermata secondo partito alle elezioni del giugno 2012. Al contrario di Alba Dorata, il gruppo che si trova all’estremo opposto nello scacchiere politico ellenico, Syriza non pretende un’uscita dall’Ue ma contesta aspramente le politiche di austerity imposte al Paese, soprattutto per quanto riguarda la privatizzazione dei servizi pubblici.

Sono proprio queste misure, adottate forzatamente dagli Stati più in difficoltà – la Grecia appunto, ma anche Spagna, Italia e Portogallo –, che hanno avuto un peso decisivo nel dar vita a correnti che vedono nell’Europa un vincolo insopportabile. L’equazione difficoltà economica = populismo, tuttavia, non è sempre corretta. Nella ricca Germania, pilastro dell’Europa unita, è nato da poco un partito “euroscettico”. Si chiama Alternative für Deutschland (un “Fare per fermare il declino” made in Germany) e fa dell’uscita dalla moneta unica, vista come sola soluzione per salvarsi dalla crisi, il suo cavallo di battaglia.

Sempre tedesco, ma meno recente e più radicato è il fenomeno dei Piraten. Contrari all’unità europea, i pirati non perdono occasione per inveire contro le istituzioni bancarie e finanziarie e contro il sistema capitalistico e consumista. La caratteristica principale del movimento nato nel 2006 è l’importanza acquisita grazie al web, strumento essenziale per coagulare il consenso attorno ai leader della protesta. Un po’ com’è avvenuto in Portogallo e in Italia.

“Che la Troika si fotta!”, è uno slogan colorito diventato il nome di un movimento portoghese nato a metà del 2012. Sfruttando al massimo le potenzialità della rete, i “grillini” lusitani hanno riempito le strade del paese con più di un milione di persone. Solo a Lisbona, la capitale, in piazza c’erano più di 500mila manifestanti. No all’austerity, no all’Europa di Angela Merkel e, soprattutto, no ai partiti nazionali responsabili, con l’Europa, dell’attuale catastrofe: queste le linee guida dei dissidenti portoghesi.

Per quanto riguarda l’Italia, oltre alle ormai “storiche” posizioni antieuropee della Lega Nord, la recente affermazione del movimento di Beppe Grillo – capace di conquistare il 25% dei seggi alla Camera – ha tra i suoi fattori determinanti la strenua opposizione all’Euro e all’assetto istituzionale della Ue. Sulla moneta unica, il programma di Grillo lascia poco spazio ai dubbi: fare il prima possibile un referendum per uscire dall’Euro.

Dire tuttavia che la crisi economica sia “la causa” dell’antieuropeismo è riduttivo. Come già si è avuto modo di dimostrare, tra gli euroscettici illustri non figurano solo paesi in difficoltà. Lo dimostra l’Eurobarometro, un sondaggio che valuta il gradimento dei cittadini nei confronti dell’Europa. L’ultima stima, del 2012, regala diverse sorprese rispetto al sondaggio di un anno prima. Germania, Danimarca, Francia e Belgio sono i paesi dove “l’appartenenza all’Ue” è sempre più gradita: la variazione dal 2011 va dal +16% tedesco al +8% belga. In fondo alla classifica, invece, si piazzano quasi tutti i “PIIGS”: sono sempre di meno i cittadini di Italia, Spagna, Portogallo e Irlanda (dal – 3% italiano al –7% irlandese) che ritengono che appartenere all’Ue sia un fatto positivo. Eppure, tra questi Paesi con un crescente antieuropeismo, manca clamorosamente la Grecia, lo stato col tasso di disoccupazione giovanile più alto del continente. Tra il 2011 e il 2012 le opinioni degli ellenici si sono polarizzate: per quasi la metà dei greci far parte dell’Ue è una cosa positiva, mentre è negativa solo per un cittadino su cinque.

Oltre alle percentuali, però, l’Eurobarometro racconta anche altro. Mentre si continua a parlare di costituzione europea, cresce il gruppo di quanti si dicono fieri di un’identità “unicamente nazionale”, mentre cala il numero di chi si ritiene “sia nazionale sia europeo”. Questo fenomeno è particolarmente forte in Spagna, Bulgaria, Portogallo e in parte in Italia e Irlanda, ma si smentisce ancora in Grecia, dove l’identità europea è in enorme crescita.

Francesco Giambertone
Federico Thoman
Giorgia Wizemann