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Alcuni degli studenti intervistati per il percorso multimediale “L’Aquila, il mio futuro è qui”. Foto di Manuel De Pandis

Descrivi te stesso e la tua vita su un pezzo di carta. Oppure attraverso il tuo sguardo, quello che fai, come vivi la tua città, L’Aquila. Ferita, ma ancora viva. Nel percorso multimediale realizzato dagli allievi del Centro sperimentale di cinematografia dell’Abruzzo, “L’Aquila il mio futuro è qui”, i protagonisti sono i giovani tra i 15 e i 30 anni. Età diverse e diverse esperienze del terremoto dell’aprile del 2009. In tutto morirono 309 persone. C’è chi ha vissuto quei momenti da bambino. Chi ha visto segnata la sua esperienza universitaria. Uno dei simboli di quel sisma fu proprio il crollo della casa dello studente del capoluogo abruzzese. In quella residenza universitaria ci furono otto vittime.

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Foto di Chiara Napoli

Forse qualcuno di quelli che oggi non ci sono più aveva incrociato i ragazzi che oggi si trovano a dover raccontare il loro rapporto con la città. Fino a marzo si potranno vedere, leggere e ascoltare le loro risposte nella Scuola nazionale di Cinema dell’Aquila, dal lunedì al venerdì dalle 9.30 alle 17.30. Duecento scatti fotografici e reportage scritti, video e audio accompagneranno il visitatore nel suo percorso. Il lavoro è stato realizzato sotto la guida del direttore Daniele Segre e del sociologo Stefano Laffi.

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Foto di Fabio Fusillo

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Foto di Giorgio Santise

«Situazione attuale: in fase di riallestimento». Una delle ragazze intervistate dai suoi 18 anni offre così una sintesi del «buco nero» lasciato nel centro della città dal terremoto. Per i più giovani dei 150 ragazzi intervistati, il sentimento espresso è quello della mancanza. Edifici in cui non si è mai potuti entrati, una bellezza architettonica e culturale solo accennata dietro alle reti rosse dei cantieri e ai puntelli delle impalcature. Ma nessuno o quasi vuole lasciare L’Aquila. Il terremoto ha forse rafforzato il legame con i loro luoghi e anche se si rendono conto delle scarse possibilità di trovare lavoro e costruirsi un futuro là dove sono nati, non hanno intenzione di andarsene. E se lo faranno, non sarà certo perché L’Aquila è stata distrutta, ma piuttosto perché è l’Italia tutta ad andare così. Come tutti i loro coetanei delle altre città italiane le parole d’ordine che scandiscono le giornate sono paura, desiderio e speranza. Racconti e confessioni sono quasi tutti anonimi, perché lo scopo era quello di creare il ritratto d’insieme di una generazione spesso definita, in maniera semplicistica, i “figli del terremoto”.
«Se noi scappiamo, chi farà tornare L’Aquila quella che era una volta? Dinnanzi al pericolo, e ai problemi io non scappo, cosa che tutti gli aquilani, uniti, dovrebbero fare».

Lara Martino