Foto: pagina Facebook Presidio General Electric Sesto San Giovanni

Hanno occupato la fabbrica e, su un calendario, contano i giorni dall’inizio del presidio. Dal 27 settembre ne sono passati 227, tutti segnati con una X. Gli operai dell’Alstom di Sesto San Giovanni, licenziati a ottobre dagli americani di General Electric che hanno acquisito il sito nel 2015, continuano la propria lotta. Giovedì 11 maggio si sono ritrovati in piazza Indro Montanelli per cercare di sensibilizzare ulteriormente il territorio. Bandiere, salamelle grigliate per autofinanziarsi e canti della Resistenza: «Vogliamo che il territorio non si impoverisca, mantenendo il sito aperto per noi e per quelli che verranno», ha detto Stefano Sfregola, delegato delle Rappresentanze sindacali unitarie.

La storia – Fondata nel 1891, la Ercole Marelli – che produce componenti per le centrali elettriche di tutto il mondo – è diventata con il tempo ABB, Alstom Power e General Electric. È l’ultima fabbrica rimasta a Sesto San Giovanni, ex Stalingrado d’Italia, che nel 1945 contava 50mila lavoratori e 45mila abitanti e oggi ospita 82mila cittadini e 24mila impiegati. La multinazionale americana ha comprato il sito il 2 novembre 2015 e, dopo la festa inaugurale, all’inizio del 2016 ha annunciato 6500 licenziamenti in tutta Europa, 249 dei quali in viale Edison. L’obiettivo è chiudere il sito entro la fine del 2017. Ma in 50 continuano a resistere: «Noi pensiamo che la fabbrica di Sesto abbia possibilità di sviluppo, se serve anche riconvertendo parte della produzione», rivendicano i manifestanti nei volantini siglati dalla Fiom con l’hashtag #saveworkers.

Le autorità – Presenti il vicesindaco Andrea Rivolta e l’assessora al Lavoro Virginia Montrasio. L’amministrazione comunale è compatta al fianco degli operai in presidio: nel gennaio 2016 il consiglio ha votato all’unanimità – in sessione straordinaria – l’appoggio all’Alstom. E la sindaca Monica Chittò lo scorso 1 maggio ha scritto su Facebook: «Insieme a loro dico no allo scandalo della distruzione del lavoro e della produzione, perché i posti di lavoro vanno difesi, perché la città del lavoro rifiuta la logica del profitto a brevissimo termine sopra ogni cosa. Un pensiero a chi difende, in ogni angolo della terra, il suo lavoro, il diritto ad organizzarsi, a condizioni umane».

Il video di Andrea Boeris e Sara Del Dot: