Nella stanza Patrizia è già intenta a fare il caffè. La sua è una casa ben tenuta, di quelle che si immaginano quando sai di andare a fare visita ad una famiglia per bene. Patrizia è una donna sulla trentina, sposata, insegnante in una scuola elementare. Racconta che è cresciuta in un ambiente felice e sereno: «Non mi mancava niente», dice. I suoi genitori gestivano un’azienda agricola, l’hanno fatta studiare perché «non volevano che anche io finissi tra i campi». Racconta che fino all’adolescenza ha avuto tutto quello che una ragazza della sua generazione potesse sognare, insieme ad una buona educazione che la preparasse al mondo e quella che sarebbe stata la sua vita da adulta. Ma niente poteva prepararla quello che le sarebbe successo crescendo. «Avevo 17 anni più o meno, mi ricordo che mi stavo preparando per andare da una mia amica per studiare. Inizio a sentire dei dolori alla pancia, pensavo fosse il ciclo», racconta Patrizia. «Prendo una bustina di antidolorifico e decido comunque di andare dalla mia amica, nel frattempo che facesse effetto, e non ci penso troppo. Noi donne siamo abituate a questo tipo di dolori, sappiamo come gestirli».

La malattia – Da lì in poi la situazione precipita, i fastidi di Patrizia si fanno più importanti e decide di andare con la madre dal suo ginecologo. Seguono controlli su controlli prima di arrivare alla diagnosi: carcinoma squamo-cellulare all’utero. Patrizia racconta questa fase della sua vita con l’estrema calma di chi sa di aver combattuto e vinto, ma come ogni battaglia, non senza perdite. Nonostante i tentativi da parte dei medici a Patrizia è stata praticata un’isterectomia: «All’epoca non ci pensavo alle conseguenze, volevo solo riprendere a fare le cose che facevo prima», ammette. Poi l’incontro con Mario, quello che diventerà il suo attuale marito, quello con cui condivide questa casa pronta e perfetta per accogliere una famiglia.

Il piano europeo – Per l’Istituto superiore di Sanità il tempo per la guarigione nel caso di tumore della cervice uterina è inferiore a 10 anni, per altri ancora meno. Con il Piano europeo contro il cancro, presentato nel febbraio 2021, l’Unione europea ha espresso la necessità di sostenere il lavoro degli Stati membri per prevenire il cancro e garantire un’elevata qualità della vita ai malati, ai sopravvissuti, alle loro famiglie e ai loro assistenti. Tra le raccomandazioni vi è la richiesta di garantire il «diritto all’oblio» a tutti i pazienti oncologici dell’Unione europea dieci anni dopo la fine del trattamento e cinque anni dopo per i pazienti i cui tumori sono stati diagnosticati prima dei diciotto anni di età. Patrizia, per esempio non ha più avuto problemi o ricadute e, nel frattempo, sono passati più di dieci anni. Patrizia, nonostante un lavoro fisso statale, ha avuto difficoltà a chiedere un mutuo a lungo termine per acquistare casa, ha difficoltà nell’accedere ai servizi assicurativi e anche nelle valutazioni per l’adozione di un bambino viene sfavorita. «Attualmente, molte persone che hanno sconfitto il cancro sono ancora costrette a dichiarare la loro precedente malattia quando richiedono servizi come assicurazioni o mutui, anche se sono completamente guarite. Ciò può portare a rifiuti o ad aumenti dei premi», ci spiega Gabriella Pravettoni, direttrice della Divisione di Psiconcologia dell’Istituto Europeo di Oncologia e docente della Statale di Milano, «la società dovrebbe superare lo stigma associato al cancro e consentire alle persone guarite di vivere senza essere etichettate dalla loro malattia. In poche parole alla guarigione clinica deve seguire una guarigione sociale».

La campagna – Grazie alla campagna della Fondazione Aiom e del Cnel (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) è stato presentato un disegno di legge per il Diritto all’oblio oncologico, un problema che riguarda più di 3.600.000 persone che hanno avuto una diagnosi di tumore. «Pensi ai ragazzi che hanno avuto la patologia oncologica da giovani e che rischiano di passare la vita ad avere diritti inferiori a quelli di chi non è mai stato malato, pur avendo la stessa probabilità di morte», spiega Giordano Beretta, presidente Fondazione Aiom. Una situazione che attende di essere risolta anche se l’unica remora che hanno gli ex-malati oncologi è quella di perdere l’esenzione 048. Beretta spiega che è necessario ragionare in modo diverso su questo tipo di esenzione: «Deve smettere di essere un’esenzione a tempo e diventare un’esenzione a vita, ma solo per esami che servono a gestire la sua malattia, quelli di follow-up. Si continua ad avere la 048, ma non si è più esenti per quello che non c’entra con la malattia».

Le adozioni –  Un altro tema centrale del diritto all’oblio oncologico è legato alle adozioni. Non ci sarebbe nessuna norma che impedisca di adottare ad una persona malata o guarita. Anche il dottor Beretta precisa che «Il soggetto malato che non abbia un rischio di morte immediato può comunque avere accesso all’adozione», continua Beretta, «il problema è che il fatto di essere malato rientra in una casella di un punteggio e questo gli può creare delle difficoltà, figuriamoci se poi è guarito, non avresti più nemmeno il rischio. Ma viene conteggiato ancora lo stesso modo, con un punteggio negativo, in realtà». Anche Frida Tonizzo, segretaria nazionale dell’Anfaa (Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie) ammette che il problema non sta in una norma apposita che impedisce l’accesso alle adozioni: «ci sono dei codici delle graduatorie che vanno ad incidere perché la legge sull’adozione prevede espressamente che siano valutate le condizioni psicofisiche degli adottanti». L’idea che c’è dietro, spiega Tonizzo, è che «dobbiamo dare ai minori dichiarati adottabili la migliore famiglia possibile e quindi non possiamo certo pensare di far andare un bambino o un ragazzino incontro a uno stato di orfanità, anche solo per uno dei genitori». Per questo il disegno di legge ha l’obiettivo di modificare anche la legge sull’adozione. «Si vuole arrivare a far sì che le indagini sullo stato di salute dei richiedenti non possono riportare informazioni circa le patologie oncologiche pregresse quando siano trascorsi dieci anni dalla conclusione del trattamento attivo della patologia, in assenza di recidive o ricadute, o cinque anni se la patologia è insorta prima del ventunesimo anno di età», ripete Pravettoni. Per la dottoressa, sarebbe il primo passo per il raggiungimento di diritti già da tempo garantiti in paesi come la Francia, seguita da Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Romania e Portogallo.  «L’approvazione di questa legge permetterebbe alla persona con pregressa patologia oncologica di non essere più identificata con la sua malattia, togliendo lo stigma associato al cancro. L’auspicio è che sia possibile per le persone guarite dal tumore un reinserimento nel loro normale corso di vita, favorito e non ostacolato dalla società».