Aule strapiene e studenti seduti a terra fin nei corridoi. Un’immagine classica delle facoltà umanistiche. Dall’anno prossimo, all’Università Statale di Milano, queste scene potrebbero non verificarsi più. Oggi pomeriggio alle ore 14.30 il Senato accademico deciderà se introdurre il numero chiuso nei corsi di laurea triennale di Lettere, Filosofia, Storia e Scienze dei beni culturali. La proposta è sostenuta dal Rettore Gianluca Vago e da diversi professori dei Dipartimenti scientifici. Se verrà accolta dal Senato, dal prossimo anno gli aspiranti studenti delle discipline umanistiche verranno selezionati con un test d’ingresso (come già succede per 70 dei 79 corsi che si tengono in Statale). Ma i docenti dei Dipartimenti umanistici si sono schierati in blocco contro il numero chiuso. Nel mezzo, gli studenti: dei cinque rappresentanti presenti in Senato accademico, quattro voteranno contro il numero chiuso; solo uno si schiererà a favore.

Pro e contro – In un’intervista al Corriere della Sera di ieri, 15 maggio, il rettore Vago ha spiegato i motivi che lo portano a sostenere l’introduzione del numero chiuso. «In questi corsi gli abbandoni alla fine del primo anno arrivano al 25 per cento. Nell’area umanistica a nove anni dall’iscrizione a una triennale soltanto tre studenti su dieci si sono laureati. E anche sull’occupabilità i dati sono negativi», ha spiegato. Meglio dunque introdurre un test, perché, proseguiva Vago, «i dati dicono che migliora la qualità e si riduce il numero degli abbandoni. E serve anche rafforzare l’orientamento». Posizione condivisa in particolare dai docenti delle discipline scientifiche, abituati ormai da anni ai test selettivi. I colleghi dell’area umanistica, però, non ci stanno: tutti i direttori di dipartimento delle facoltà interessate hanno espresso contrarietà, e in una lettera condivisa chiedono al Rettore di evitare una «frattura profonda tra la componente umanistica e le altre dell’ateneo». La loro idea è un’altra: introdurre un test di autovalutazione non vincolante: gli studenti che mostreranno lacune, sostengono, saranno comunque scoraggiati a iscriversi.

Studenti, un no che divide – E gli studenti? In maggioranza, si oppongono al numero chiuso. Nel Senato accademico siedono in cinque: due rappresentanti per UniSì – Uniti a sinistra; due per Lista Aperta e uno per UniLab. Gli orientamenti politici sono diversi, eppure stavolta si verifica una singolare convergenza. Unisì e Lista Aperta voteranno per il No, solo UniLab sosterrà il Sì. Laura Grechi di Unisì spiega la sua posizione: “Siamo contrari sul metodo: il regolamento didattico dice che la proposta del numero programmato spetta ai Dipartimenti, che il Rettore scavalca portando la questione direttamente al Senato. E siamo contrari nel merito: il testi di autovalutazione sarebbe già un buono strumento per orientare le iscrizioni. La vera questione è un’altra ed è politica: per i nuovi criteri di rapporto docenti/studenti imposti dal Miur, mantenere il numero aperto alle facoltà umanistiche significherebbe non attivare nuovi corsi dell’area scientifica per il prossimo anno accademico. I docenti delle aree scientifiche non ci stanno: ma perché privilegiare le facoltà scientifiche sulle umanistiche?”. Le fa eco Tommaso Galeotto di Lista Aperta: “Diciamo no al numero chiuso perché è una soluzione tappabuco. Bisogna ragionare da un’ottica della persona, non del numero: per questo serve potenziare l’orientamento e l’autovalutazione”. E chiosa con una battuta: “Il Rettore è un medico, e manca un anno alla fine del mandato… Le facoltà umanistiche hanno già subito una riduzione del 28% dei punti organico, contro un 9% della media di ateneo”.

Si da Helsinki – Chi invece voterà “sì”, anche se in collegamento Skype, è Riccardo Rogliani di Unilab. Non siamo riusciti a contattarlo (Rogliani si trova in Erasmus ad Helsinki), ma le posizioni di Unilab sono riassunte in un lungo post pubblicato sulla pagina Facebook lo scorso 8 maggio: “I corsi come attualmente concepiti”, scrivono, “non solo sono perfettibili, ma addirittura talvolta dannosi per le vite degli studenti” a causa di vari problemi tra cui “mancanza di una guida nel primo anno e mezzo di studi, ripetitività ed irrazionalità dei corsi, sovrapposizioni tra corsi triennali e corsi magistrali, mancanza di competenze trasversali e utilizzabili nel contesto sociale ed economico, scarsa occupabilità e lo storico problema dei fuoricorso”. Per questo, concludono i rappresentanti di Unilab, “anche per i non addetti ai lavori risulterà facile capire che, andando a porre un limite alle iscrizioni, si rende più facile la programmazione dei corsi con lo scopo di renderla a misura di studente”.