Febbraio: Il lavoro della diplomazia

Alle 4.30 del 24 febbraio 2022 il suono delle esplosioni sveglia l’Ucraina: inizia l’attacco russo. I primi incontri diplomatici tra le parti cominciano pochi giorni dopo. È la Bielorussia ad ospitarli. Il 28 febbraio 2022 a Gomel le delegazioni si incontrano per il primo round di negoziati: da una parte il ministro della difesa ucraino Oleksij Reznikov, dall’altra, il consigliere di Putin Vladimir Medinskij.

Il governo di Kiev chiede il ritiro delle truppe di Mosca da tutto il territorio, la Russia rivendica la Crimea e pretende la demilitarizzazione e la neutralità di Kiev. Il punto di incontro è sempre più lontano.

La Crimea è la medaglia al valore di Putin, il territorio che si gloria di aver annesso nel 2014 e che consente al suo impero l’accesso al Mar Nero. Il referendum con cui ha dichiarato l’annessione, però, non è mai stato riconosciuto dalla comunità internazionale.

Cartina dell’Ucraina a inizio Marzo 2022. In arancione le zone russofone (ISPI)

Il 3 marzo 2022 i negoziati riprendono con il secondo round diplomatico, che porta i primi frutti: la Russia acconsente a un temporaneo cessate il fuoco per permettere la creazione di corridoi umanitari.

Marzo: Mariupol, Bucha e i crimini di guerra

È il 9 marzo 2022 e i russi bombardano con un attacco aereo l’ospedale pediatrico di Mariupol, sul mar d’Azov, proprio durante il cessate il fuoco per evacuare la popolazione civile attraverso sei corridoi umanitari. Rimangono uccise nell’esplosione tre persone, tra cui un bambino. La fotografia dell’attacco all’ospedale diventa il baluardo della guerra di informazione: al centro della discussione una donna incinta che fugge scendendo le scale del reparto ospedaliero. La Russia sostiene che la donna sia l’influencer ucraina Marianna Podgurskajae e che la gravidanza sia falsa. L’Ucraina fa sapere, qualche giorno dopo, che la ragazza ha partorito una bambina.

Il soccorso di una donna incinta a Mariupol a seguito dei bombardamenti (Rai News, Evgenij Maloletka)

Putin opera una stretta sull’informazione modificando il codice penale: pene più pesanti per chi diffonde “fake news” sull’esercito russo. La strategia porta alla chiusura della radio L’Eco di Mosca, al blocco del canale di opposizione TV Rain e alla revoca della licenza di pubblicazione per un giornale indipendente come la Novaja Gazeta.
Sempre a marzo arrivano le immagini dei massacri di Bucha. Dopo settimane di occupazione russa, la città nell’oblast di Kiev viene liberata: sulle strade centinaia di corpi massacrati di ucraini. Emergono nei giorni successivi le violenze commesse e le fosse comuni. Le potenze occidentali accusano le truppe russe di “crimini di guerra” per aver violato il diritto internazionale che classifica così gli attacchi deliberati e sistematici da parte di un esercito verso obiettivi civili. Mosca nega tutto, sostenendo che si tratti di una messinscena. Zelenskij gira per il Paese e notifica ogni giorno il ritrovamento di nuove fosse comuni.
Un anno dopo, a febbraio 2023, la giornalista russa Maria Ponomarenko viene condannata a sei anni di galera e cinque anni di interdizione da qualunque attività giornalistica per aver raccontato che l’attacco al teatro di Mariupol è stato un bombardamento russo, e aver accusato Mosca dello sterminio di Bucha.

Cadaveri in una fossa comune a Bucha.
(ANSA, Lorenzo Attianese)

Aprile: La diaspora del popolo ucraino, la crisi umanitaria

L’invasione russa in Ucraina ha provocato una delle più gravi crisi umanitarie dalla Seconda Guerra Mondiale. Secondo il report di Unhcr, ad oggi sono più di otto milioni i rifugiati registrati in tutta Europa e più di quattro quelli che hanno fatto richiesta di protezione temporanea nei Paesi dell’Ue.
L’esodo ucraino inizia alla fine del febbraio 2022: più di 650mila persone varcano il confine e si dirigono verso i Paesi limitrofi (anche in Russia, che fino ad oggi ha accolto più di due milioni di rifugiati). La Polonia è la Nazione che da subito accoglie il maggior numero di persone, insieme a Romania, Moldavia e Repubblica Ceca.
Tra la fine di marzo e il mese di aprile, la diaspora del popolo ucraino coinvolge quasi cinque milioni di persone, rendendola la crisi umanitaria con il tasso di partenza più alto degli ultimi 20 anni: per fare un paragone, nei primi due mesi della guerra d’Iraq (1991) erano partiti 1,4 milioni di persone, dalla Siria (2013) 2,2 milioni e dal Venezuela (2018) due milioni. L’Italia ospita attualmente 169mila rifugiati ucraini.

Maggio: La guerra dei mercenari di Third Army Corps e Wagner, le armate di volontari e la resistenza Azovstal

Soldati in fila che escono da un rifugio che poteva diventare tomba. L’ acciaieria Azovstal è l’ultimo baluardo della resistenza a Mariupol. Viene definitivamente evacuata il 16 maggio, a seguito di un accordo di tregua che ha permesso prima la liberazione dei civili, seguita da quella dei militari rimasti all’interno della struttura.

Un frame dell’operazione di evacuazione dei civili dall’acciaieria di Azovstal (Telegram, Battaglione Azov)

L’evento segna la presa di Mariupol da parte di Mosca. A ordinare la resa degli ultimi soldati è il governo di Kiev, che dopo aver tenuto occupati i militari russi per 82 giorni attorno all’acciaieria per evitare che l’attacco si espandesse ad altri territori, ora auspica una ripresa delle negoziazioni.
Alla difesa di Mariupol ha preso parte l’unità speciale separata Azov, il battaglione che da anni opera nella guerra del Donbass contro i separatisti filorussi e che dall’autunno del 2014 è finanziato dal Ministero dell’Interno ucraino.
Sul fronte russo, i soldati iniziano a mancare e Putin decide di ricorrere a mercenari, primi fra tutti quelli dell’armata Wagner, conosciuta già per aver combattuto in Siria e in Libia, composta soprattutto da ex militari, poliziotti e agenti di sicurezza russi.  A capo dell’esercito collaterale c’è Evegenij Prigožin, oligarca vicino a Putin, tanto da essere soprannominato il suo “cuoco”. Il presidente, infatti, è un affezionato cliente dei ristoranti di cui l’oligarca è proprietario.

A giugno viene creato il Terzo Corpo d’Armata, una formazione russa che fa fronte alla mancanza di soldati e alle difficoltà dell’esercito a Kherson. Il reclutamento avviene su base volontaria, ma la divisione dimostra presto di non essere all’altezza della “operazione speciale”. La Russia inizierà la mobilitazione a settembre.

Giugno: Vertici europei a Kiev

Mario Draghi, Emmanuel Macron e Olaf Scholz siedono uno di fronte all’altro in attesa di arrivare a destinazione. Il 17 giugno i capi di stato di Italia, Francia e Germania si recano per la prima volta a Kiev dall’inizio del conflitto.

Draghi pone l’accento sullo sminamento dei porti ucraini: «Vari Paesi si sono offerti, l’unica soluzione possibile è che questa operazione si svolga sotto l’egida dell’Onu, che garantisca tutte le parti».
Oltre al valore politico, l’incontro è simbolico. Prova la compattezza europea e porta sostegno in una fase cruciale del conflitto: la resistenza continua, ma le truppe ucraine sono esauste. I tre leader europei portano un messaggio unitario: si farà di tutto perché l’Ucraina possa entrare a far parte dell’Unione Europea. Sul canale Telegram di Zelensky non tardano le fotografie dell’incontro. Il presidente ucraino accetta l’invito da parte di Scholz di partecipare al G7 dieci giorni più tardi.

Sei mesi più tardi Zelensky ricambia la visita. A febbraio 2023 Macron e Scholz lo ricevono a Parigi, a mancare è la rappresentanza italiana: Meloni incontra il capo di stato ucraino solo il giorno seguente a Bruxelles. La polemica per essere stata esclusa non tarda: «È stato inopportuno, la nostra forza deve essere l’unità», dichiara la presidente.

Luglio: Gli accordi sul grano

Guterres e Erdogan alla firma dell’accordo tra Mosca e Kiev sul grano (Vatican News)

La prima nave carica di grano lascia il porto di Odessa il 1 agosto. A confermarlo è il governo turco. Alla fine di luglio Kiev e Mosca firmano separatamente gli accordi con la Turchia. Il presidente turco Tayyip Erdogan e il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres fanno da intermediari. Dall’inizio del conflitto sono 30 milioni le tonnellate di grano ferme solo a Odessa, a causa del blocco navale e delle mine lasciate lungo le coste del Mar Nero.
L’Ucraina è il terzo esportatore al mondo di grano e il blocco dell’esportazioni colpisce soprattutto i Paesi sottosviluppati, come Nigeria, Siria, Mali, Angola, Guinea e Madagascar, ma anche l’Italia, che dall’Ucraina acquista il 64% di grano tenero per la panificazione, ne risente. Il prezzo del pane aumenta del 30% circa. A novembre l’accordo viene prorogato per altri quattro mesi. I mediatori sono sempre Guterres e Erdogan.

Agosto: La questione nucleare, la crisi di Zaporižžja e la visita dell’Aeia

It is 90 seconds to midnight. 90 secondi alla mezzanotte, o alla fine dell’umanità per come la conosciamo. L’Orologio dell’Apocalisse del Bulletin of the atomic scientists segna il valore più vicino al disastro atomico mai registrato: è colpa della guerra, o meglio dell’ipotesi di guerra nucleare che rischia di essere sempre più concreta.
Soprattutto a Zaporižžja, dove c’è la centrale nucleare più grande d’Europa. Si trova sotto assedio da marzo ed è limitrofa a un’area strategica della resistenza ucraina per la difesa dei soldati sul fronte del fiume Dnipro. Il 5 agosto viene bombardata nuovamente la zona limitrofa di Nikopol e diversi attacchi danneggiano una parte dell’attrezzatura ausiliaria della centrale.
Il livello di allerta sale alle stelle a seguito di un botta e risposta tra Kiev e Mosca: l’Ucraina accusa la Russia di aver danneggiato deliberatamente l’impianto, mettendo fuori uso tre sensori per le radiazioni. Il ministro della Difesa russo Sergej Šojgu afferma che è stato un bombardamento ucraino a colpire la struttura (sotto controllo russo) e a obbligare lo staff al suo interno a diminuire l’output energetico dei reattori.
Il direttore generale dell’International atomic energy agency (Aeia) Rafael Grossi già da giugno chiede di poter visitare la centrale con un team di esperti per poterne garantire la massima sicurezza. Dopo mesi di dibattito, il 29 agosto arriva un invito del premier Zelensky e il 31 agosto la delegazione Aeia viene ufficialmente accolta a Kiev.

Settembre:  Rubinetti chiusi, l’Europa cerca di imporre un tetto al prezzo del gas

Mentre i caschi dell’Aeia si muovono nei sotterranei della centrale di Zaporizhzhia, la Russia ferma le forniture di gas dirette in Europa. Lo fa bloccando il gasdotto Nordstream 1, principale collegamento per trasportare il gas naturale nei Paesi europei. Il primo stop del mese viene da Gazprom e dura quattro giorni. Dovrebbe finire il 3 settembre e viene motivato dalla scarsa manutenzione dovuta alle penalizzazioni imposte da inizio guerra. «Le sanzioni non consentono i normali lavori di riparazione», dice ai media europei Dimitry Peskov, portavoce del presidente della Federazione russa Vladimir Putin. Dopo mesi di funzionamento ridotto, lo stop temporaneo diventa definitivo e il Nord stream 1 viene chiuso. A peggiorare la situazione sono le continue perdite che si verificano nei gasdotti Nordstream 1 e 2. Il primo è fermo da fine agosto e il secondo non è mai stato aperto, ma entrambi sono pieni di metano, che disperdono nell’ambiente. In poche ore, il 29 settembre, dai Nordstream si sversano nel Mar baltico 500 tonnellate di metano, riducendo le scorte di gas e causando danni all’ambiente.

I gasdotti Nord Stream 1 e 2 (EuNews)

Le conseguenze di blocchi e perdite sono oscillazioni del valore di mercato del gas, quindi rincari in bolletta. Gli effetti più gravi sui costi si registrano ad agosto, con picchi di 300 euro a megawattora sul Title transfer facility (Ttf), il mercato di Amsterdam che si usa da parametro per contrattare il valore del gas in Europa. Per far fronte agli aumenti, la Commissione europea inizia a lavorare per imporre un tetto comune al prezzo del gas importato. La proposta arriva da Mario Draghi, che inizia a parlarne a giugno ma trova disallineamento tra i Paesi europei. Lo chiedono in tutto 15 Paesi, tra cui l’Italia, che dipende dalla Russia per l’11% delle importazioni. A essere contrari sono invece Austria, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi ma soprattutto Germania. Il cancelliere Scholz dice di temere che imponendo un tetto alle importazioni si verifichino due cose: l’Europa venga esclusa dagli approvvigionamenti di gas, venendo sostituita dall’Asia come partner economico, e che non arrivi gas a sufficienza per l’inverno.
Davanti a ripetuti accordi saltati, i singoli Stati si muovono a briglia sciolta. Per sostenere le famiglie, la Germania stanzia circa 200 miliardi, la somma più alta in Europa, pari al 5,6% del Pil del Paese. L’Italia introduce un bonus bollette per Isee sotto i 12mila euro, aiuti pari al 3,3% del Pil. Il ministro Cingolani lavora al rafforzamento degli accordi con altri Paesi – principalmente Algeria e Azerbaijan – e alla costruzione di nuovi rigassificatori. La trattativa in Europa dura mesi, si conclude a dicembre, fissando la soglia massima del valore in Europa a 180 euro al megawattora. Nel frattempo, il prezzo del gas comincia la sua discesa tornando sotto i 100 euro a megawattora a fine ottobre.

Ottobre: Il ponte di Kerch, continua la guerra delle fake news

Dal 2018 il ponte di Kerch collega la Crimea alla regione russa di Krasnodar. Dall’inizio della guerra, Kerch ha anche rappresentato la via più veloce per i rifornimenti alle truppe russe schierate a Kherson. Un camion bomba esplode l’8 ottobre 2022 e ne fa crollare una parte, causando otto morti e due feriti. È difficile capire di chi sia la responsabilità. Ancora una volta, come successo con l’ospedale di Mariupol a marzo, Russia e Ucraina si rimbalzano le colpe accusandosi di fake news. Inizialmente, si pensa sia responsabilità dei servizi segreti ucraini: Putin accusa Kiev di un «attentato terroristico» e ordina la creazione di un comitato investigativo speciale per le indagini. Kiev inizialmente non rivendica l’azione, ma poi il consigliere di Zelensky Mykhailo Podolyak, scrive su Twitter: «Tutto ciò che è illegale va distrutto, tutto ciò che è stato rubato deve essere restituito all’Ucraina».

Il ponte di Kerch in fiamme dopo l’esplosione dell’8 agosto (NPK, Dmytro Zhyvytskyi)

Pochi giorni dopo l’esplosione, un ordine di governo della Federazione russa stabilisce la ricostruzione dell’infrastruttura entro luglio 2023.
L’atto ha un valore simbolico: accade il giorno dopo il settantesimo compleanno di Putin, il presidente responsabile della riconquista delle Crimea. È lui che in occasione dell’inaugurazione del 2018 aveva dichiarato: «il ponte è la prova evidente che la penisola era e sarebbe rimasta territorio della Federazione».

Novembre: Un missile russo in Polonia e la paura della terza guerra mondiale

Il 15 novembre a Przewodow, cittadina polacca al confine con l’Ucraina, due persone muoiono a causa di un missile. La prima reazione occidentale è quella di attribuire le colpe alla Russia. Un incidente che mette in allarme il mondo intero per qualche ora: la Polonia, infatti, è un Paese membro della Nato. Si invoca il ricorso all’articolo 5 del Trattato costitutivo dell’Alleanza atlantica, che prevede la risposta militare di tutti i membri contro l’aggressore di uno o più di essi. Tradotto: la Nato entrerebbe militarmente in guerra con la Russia, facendo scoppiare la terza guerra mondiale. Le accuse rimbalzano da una parte all’altra. Mosca nega fin da subito ogni responsabilità, classificando come “propaganda” e “provocazione” il tentativo ucraino-occidentale di addossarle la colpa. Jens Stoltenberg, segretario generale dell’Alleanza, afferma al contrario che «Kiev non ha colpe» e che l’episodio è stato causato da un “massiccio lancio di missili russi sull’Ucraina”.

Il punto colpito dal missile a Przewodow, in Polonia (ANSA)

Maggiore prudenza usa invece il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che ancor prima delle dichiarazioni russe suggerisce che il missile faccia parte di una batteria di difesa antiaerea dell’esercito di Zelensky.
Nel giro di meno di 24 ore l’allarme rientra e la versione avanzata da Biden e sostenuta anche dal Cremlino viene confermata. Il presidente della Polonia, Andrzej Duda, il 16 novembre ritratta: “Uno sfortunato incidente, sicuramente non un attacco deliberato contro la Polonia", tantomeno alla Nato.

 

Dicembre: I due natali e il cessate il fuoco

«Anche se non c’è elettricità, la luce della nostra fede e in noi stessi non si spegnerà, gli ucraini si siederanno comunque al tavolo delle feste e si rallegreranno a vicenda», afferma Zelensky al Congresso degli Stati Uniti il 22 dicembre a Washington. Il Presidente ucraino chiede una tregua per dare modo alla popolazione di festeggiare il Natale cattolico: un chiaro messaggio di vicinanza ai valori occidentali. Mosca prende tempo e accorda un cessate il fuoco sollecitato dal patriarca Kirill per il 6 e 7 gennaio, data del Natale ortodosso secondo il calendario giuliano. Il capo della chiesa ortodossa di Mosca definisce i russi e gli ucraini «un unico popolo».

Alla mezzanotte del 7 gennaio Putin è solo nella cattedrale dell’Annunciazione del Cremlino ad assistere alla funzione celebrativa di Natale. È la prima volta, dopo molti anni, che il Presidente partecipa alla funzione nella capitale. L’anno prima aveva scelto la chiesa della residenza presidenziale di Novo Ogorovo. Alcuni vedono nella scelta del presidente una strategia comunicativa: è pronto ad assumersi le responsabilità della nuova fase del conflitto. Secondo alcune testimonianze dell’esercito ucraino, però, i russi non avrebbero mai smesso di attaccare.

Gennaio: Le armi e il sostegno bellico internazionale

Dopo mesi di dibattito sulla possibilità di fornire armi pesanti a Kiev, il 24 gennaio il cancelliere tedesco Olaf Scholtz dà il via libera alla consegna dei carri armati Leopard 2 all’Ucraina, aprendo la strada a Stati Uniti e altri Paesi Nato per la chiusura di accordi sui rifornimenti di materiale bellico strategico.

Un carro armato Leopard 2 in azione (EPA, Focke Strangmann)

Nelle settimane successive vengono messi a disposizione più di 300 tank, dai Challenger britannici agli Abrams statunitensi, da inviare nel corso del 2023.
Tra gennaio e febbraio le visite dei più importanti leader mondiali (tra cui la presidente del Consiglio Giorgia Meloni) su territorio ucraino confermano il pieno supporto del fronte Atlantico a Kiev. Il ministro degli esteri israeliano Eli Cohen, in visita in Ucraina, annuncia 200 milioni di dollari di investimenti nel settore sanitario e delle infrastrutture civili dell’Ucraina, tra cui un sistema di allarme aereo simile ad Iron Dome, la super-contraerea antimissile usata al confine con la Palestina.
Dopo i Leopard, Kiev chiede la fornitura di circa 200 caccia F-16 per sostituire la sua flotta ormai attempata. Per ora, tuttavia, nessuno degli alleati sembra volersi esporre su questo fronte: la chiusura di Joe Biden sulla fornitura di aerei caccia sembra aver messo un punto temporaneo sulla questione. La visita del presidente degli Stati Uniti a Kiev apre comunque a nuovi investimenti: gli USA promettono una spesa di più di 2 miliardi di dollari di aiuti bellici per l’Ucraina che, secondo Reuters, dovrebbero includere per la prima volta razzi a lungo raggio, oltre ad altre munizioni e armi.